Il Fatto Quotidiano

La guerra Italia-bulgaria in un bronx senza nome

- » Enrico Fierro

Iatavenne, fetient… ”. È guerriglia a Mondragone. Gli italiani contro i bulgari e i romeni. I moderni “untor i”. “Hanno portato il Covid e mo se ne vanno in giro. Assassini”, urla una donna. È in prima fila nel gruppo di quasi cento persone del posto, molti giovani, che ora vogliono bloccare la Domiziana. Dai balconi, romeni e bulgari, urlano e lanciano sedie e bottiglie. C’è la polizia, le camionette a bloccare entrate e uscite, presto arriverà anche l’esercito. Nessuno sa cosa fare.

Nessuno ha fatto mai nulla per questo Bronx della disperazio­ne che non è neppure degno di un nome. Palazzi ex Cirio, e tanto deve bastare. Otto palazzoni costruiti nel 1957 a ridosso dello stabilimen­to Cirio. Ci vivevano gli operai di Mondragone che lavoravano nella fabbrica. Quella del “come natura crea Cirio conserva”. Dopo qualche anno la fabbrica chiuse e gli abitanti dei palazzi cominciaro­no lentamente ad andar via. Le case presentava­no i segni del tempo, il quartiere precipitav­a nel degrado.

AL POSTO degli operai italiani arrivarono romeni e bulgari. I poveri d’europa. Con in tasca il documento di cittadini dell’unione, ma iscritti all’anagrafe dei disgraziat­i. Sempre alla ricerca di un lavoro e di qualche soldo da mandare a casa. “Pagano cento euro a posto letto, vengono sfruttati nelle campagne dove sono essenziali per l’economia agricola, ma qui sono considerat­i dei veri e propri invisibili”, racconta Igor Prata, giovane sindacalis­ta della Flai- Cgil. Quanti sono? Sette-ottocento, ma in questo periodo i palazzi Cirio possono ospitare fino a 1.500 persone. Schiene che si piegherann­o per raccoglier­e fagiolini, cocomeri, frutta, pomodori. Fino a pochi giorni prima dell’esplosione del virus, ai palazzi Cirio c’era la fila dei furgoni bianchi. Arrivavano prima dell’alba per raccoglier­e gente. Sono i “caporali”, bulgari, soprattutt­o, ma anche italiani e tunisini. Furgoni malmessi, senza assicurazi­one, caporali spesso senza patente.

LE CONDIZIONI di sicurezza pari a zero. Ma patti chiari: la paga è di 3 euro l’ora, qualcosa come 20-25 euro al giorno per le donne, 25-30 per gli uomini, pochi centesimi l’ora per i bambini. “È sfruttamen­to – ci dice il sin

BRACCIANTI QUI VIVONO 1.500 PERSONE, MOLTE SONO DELL’EST

dacalista –, la paga base del contratto provincial­e è di 42 euro al giorno, con tutte le garanzie previste. Con l’ag gravante che una parte del salario che questi lavoratori incassano devono darla al caporale, altrimenti perdono il lavoro. Qui lo sfruttamen­to economico diventa emergenza sociale nel momento in cui se sei un invisibile non hai neppure tutele sanitarie, non puoi consentirt­i il lusso di ammalarti. Per tutelare la salute di tutti bisogna applicare la legge contro il caporalato del 2016, fare uscire centinaia di persone dall’oscurità sociale. La loro tutela è la tutela di tutti noi”.

A Mondragone in questi anni nessuno ha visto, pochi sono intervenut­i, in tanti, aziende agricole, proprietar­i degli alloggi affittati in nero, ci hanno guadagnato. Istituzion­e e politica alla dura realtà hanno preferito i sogni. “Faremo del litorale domizio la nostra riviera romagnola”, promise appena due anni fa il “gov ern at or e” Vincenzo De Luca.

E ARRIVARONO

progetti e piani. Fu elaborato un masterplan e individuat­o l’archistar destinata a realizzarl­o, Andreas Kipar, l’uomo che curò la riconversi­one del bacino della Ruhr. E furono convegni che illustraro­no piani, centri commercial­i, grattaciel­i con mirabolant­i funicolari che portavano al mare, circoli velici, yacht club. “Il sogno di una vita”, disse De Luca. La realtà è invece un incubo.

È la paura di Mondragone, il terrore del virus e della chiusura totale a ridosso della stagione estiva. È il terrore dei 2.000 europei venuti dall’est che più del virus temono il rischio di perdere anche quel poco di lavoro che hanno. Corrono, scappano di notte, si trasforman­o in potenziali untori. Mettono a rischio la salute degli altri per lavorare. Da sfruttati.

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