Ora Intesa blinda il suo “salottino” mangiandosi Ubi
SI PARTE Messina e Nagel (Mediobanca) all’assalto dell’istituto di Massiah per essere i padroni d’italia. L’assist di Cattolica (e i malumori di Del Vecchio)
La più importante partita finanziaria degli ultimi 20 anni entra nel vivo, ma somiglia più alla classica guerra di potere per contare nel tinello italiano. Ieri, Intesa Sanpaolo ha pubblicato il prospetto dell’offer ta pubblica di scambio di azioni (Ops) su Ubi Banca, dopo l’ok della Consob, l’autorità di Borsa: il primo istituto italiano lancia così l’assalto al terzo.
Carlo Messina ha annunciato la mossa il 17 febbraio scorso, in asse con la Mediobanca di Alberto Nagel (in qualità di advisor) e la Unipol-sai di Carlo Cimbri, la compagnia assicurativa delle coop che rileverà il settore delle polizze di Ubi, mentre la partecipata Bper si prenderà 532 sportelli per ridurre la quota di mercato in diverse zone e far ottenere a Intesa l’ok dell’antitrust, che in una prima valutazione si è espressa negativamente.
L’OPA PARTIRÀ IL 6 LUGLIO e si concluderà il 28. Entro cinque giorni, il cda di Ubi guidato dall’ad Carlo Massiah, predisporrà una risposta che arriverà poco prima dell’ in iz io dell’offerta sul mercato. Servirà a indirizzare i soci della banca, i cui vertici ritengono la mossa di Intesa “ostile”: Messina offre 17 azioni Intesa ogni 10 azioni Ubi portate in adesione fissando così, almeno per ora, il valore di Ubi a 3,3 miliardi, la sua attuale capitalizzazione di Borsa. Se andasse in porto, l’operazione trasformerebbe Messina e Nagel, i due banchieri oggi alleati, nei padroni d’it a li a , ma l’esito non è scontato. Dalla loro hanno le difficoltà di Ubi. Negli anni Massiah (imputato nel maxi processo per la manipolazione dell’assemblea del 2013) si è preoccupato più di mediare i conflitti di bottega tra gli azionisti di Bergamo e di Brescia, mentre l’istituto perdeva valore in Borsa. Per di più, se Ubi quotasse a bilancio i crediti deteriorati al valore medio del settore, avrebbe un ammanco di capitale da 700 milioni. L’operazione sembra quindi più un salvataggio e Messina ha cercato di rassicurare in ogni modo i soci storici di Ubi. Che però non mollano.
Intesa punta a ottenere il 66,7% del capitale di Ubi, ma nel prospetto spiega di potersi accontentare del 50% più u n’azione. Nel primo caso, però, avrà i voti in assemblea per poter fondere Ubi al suo interno, nel secondo invece l’operazione potrebbe essere ostacolata da una minoranza di blocco, complicando non poco la vita a Messina. I grandi azionisti del territorio come le fondazioni Cassa di risparmio di Cuneo (5,9%) e Banca del Monte di Lombardia (4,9%), riunite nel patto di consultazione Car insieme ad altri soci storici (le famiglie industriali bresciane e bergamasche che si sono divise la banca) si oppongono all’ops. Con loro c’è il controverso fondo Parvus guidato da Edoardo Mercadante, che ha circa l’8% del capitale: insieme potrebbero raggiungere il 27% e Parvus essere l’ago della bilancia. Come ha rivelato il Fatto , la Procura di Milano sta verificando se dietro il fondo con base alla Cayman ci siano gli stessi soci bresciani e bergamaschi che si oppongono a Intesa.
IN QUESTO SCONTRO tutte le azioni contano, anche l’1% di Ubi oggi in mano a Cattolica assicurazioni. Ed è anche in quest’ottica che va inquadrata l’operazione lanciata nei giorni scorsi dalle Generali. La compagnia assicurativa guidata da Philippe Donnet ha messo sul piatto 300 milioni per diventare il primo azionista di Cattolica. Generali è controllata da Mediobanca. La mossa non sembra avere una logica industriale – Generali si rafforza in un mercato, quello italiano, dove è già leader – e per questo non è piaciuta ai soci privati. Nel cda che ha dato il via libera non c’erano, per dire, i rappresentanti di Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio. Quest’ultimo, a quanto filtra, sarebbe pronto a far contestare l’operazione con una lettera dello studio Bonelli Erede. L’irritazione del patron di Luxottica ha una sua logica: nelle scorse settimane ha lanciato l’assalto a Mediobanca ( e quindi a Generali) chiedendo alla Bce di salire al 20% della banca per dettare la linea a Nagel. Gli spiragli per ottenere il via libera sembrano essersi ridotti. E forse anche per questo Generali ha deciso di muovere in aiuto di quelli che, se tutto andasse in porto, sarebbero i padroni incontrastati della finanza italiana.
OBIETTIVO SI PUNTA AL 66,7%, MA I SOCI STORICI DICONO NO