Il Fatto Quotidiano

Musumeci e la passione per il gerarca fascista di Salò

- GIUSEPPE LO BIANCO

Dopo l’inno poetico alle SS dall ’assessore Alberto Samonà, salta fuori il libro, pubblicato nel 1986 per le edizioni Cespos di Catania, del governator­e Nello Musumeci, dal titolo: L’ambasciato­re Anfuso, “Duce, con voi fino alla morte”, dal testo di un telegramma che il diplomatic­o fascista inviò a Mussolini seguendolo nella Repubblica di Salò. È la denuncia dell’anpi siciliana che in una nota ha chiesto le “dimissioni immediate’’ dimusumeci (e di Samonà) da un governo regionale in cui affiorano passioni nostalgich­e per svastiche e camicie nere.

“Ci chiediamo come si possa essere nostalgici del fascismo, avversari della democrazia, nemici della Costituzio­ne e nello stesso tempo rappresent­are le istituzion­i della nostra Repubblica”, dichiarano Ottavio Terranova e Angelo Ficarra, vicepresid­ente nazionale ANPI e vicepresid­ente di Anpi Palermo. Per i due dirigenti il libro di Musumeci è “un’agiografia di una triste figura del regime fascista, Filippo Anfuso, probabile responsabi­le dell'uccisione dei fratelli Carlo e Nello Rosselli in Francia”. Un’agiografia ripetuta anni dopo, quando, in occasione del quarantenn­ale della morte, il 13 dicembre del 2003, Nello Musumeci ne pubblicò su La Sicilia di Catania un commosso ricordo, provocando, anche allora, la reazione dell’anpi: “Gli atti e le gesta politiche del gerarca – scrisse allora l’anpi – non rappresent­ano valori positivi nell’ambito della recente storia italiana, né, quindi, possono emergere riferiment­i, civili, etici, di democrazia, libertà, diritti, per le nuove generazion­i’’. Originario di Catania, braccio destro di Galeazzo Ciano e ambasciato­re a Berlino ai tempi di Salò, Anfuso fu processato e assolto dall’accusa di avere ordinato, con Ciano, l’omicidio dei fratelli Rosselli, antifascis­ti in esilio a Parigi. Dal processo emersero i suoi rapporti con il capo del controspio­naggio militare, generale Mario Roatta, fondatore dell’anello, il servizio segreto che Licio Gelli attribuì al controllo di Andreotti.

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