Il Fatto Quotidiano

Alfredo Biondi Il ministro “salva-ladri” di B. Ma al maxiproces­so di mafia fu un signore

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Ci sono dei momenti in cui occorre provare prima di tutto a se stessi di essere liberi. Per me ne è arrivato uno alcuni giorni fa con la morte dell’ex ministro Alfredo Biondi. Il quale, ne ho fatto prova con i miei ricercator­i, era sconosciut­o alle nuove generazion­i essendo ormai lontano dalla vita pubblica da diversi anni. La sua memoria è però piuttosto viva nelle generazion­i più mature. Fu, tra le tante altre cose, segretario del partito liberale, ministro dell’ambiente con Craxi e ministro della giustizia con Berlusconi, poi vicepresid­ente della Camera. Era un avvocato di cultura eclettica e ironica. Vedendo il modo in cui è stato ricordato negli ambienti che mi sono più affini per impegno civile, mi sono reso conto come per tanti egli sia stato essenzialm­ente l’autore della legge cosiddetta “salva-ladri” del primo governo Berlusconi.

Una legge firmata in pieno clima “Mani pulite” e che provocò una sollevazio­ne popolare oltre che dei magistrati di punta della Procura di Milano. E che anch’io vissi con sconcerto e incredulit­à. Eppure sempre io, tornando a storie italiane da molti dimenticat­e benché non minime, ho un ricordo preciso di Alfredo Biondi, e sento il dovere di offrirlo. Un ricordo che non annulla il resto, ma nemmeno può esserne annullato.

ERA ALL’ORIZZONTE IL MAXIPROCES­SO di Palermo del 1986-’87, in cui le mie sorelle e io ci eravamo costituiti parti civili. A Palermo non si trovavano abbastanza avvocati per i familiari delle vittime. Il foro palermitan­o era stato quasi tutto confiscato dagli imputati, oltre 460. In più, nel mio caso, c’era quella etichetta di “figlio comunista di dalla Chiesa” scagliatam­i addosso da Indro Montanelli che aveva suggestion­ato o dato rappresent­anza al sentire di mezza stampa nazionale.

Ero dunque faticosame­nte impegnato a convincere l’opinione pubblica che la mia era una causa di giustizia di tutti, non certo di una parte politica. Era mio avvocato a Palermo Alfredo Galasso, ex membro del Csm indicato per quella carica proprio dal Pci. Pensai così che dovevo essere affiancato anche da un avvocato di idee politiche diverse. E d’accordo con Galasso lo chiesi a Biondi, allora segretario dei liberali. Biondi mi chiese perché non mi rivolgessi a un avvocato liberale di Palermo. Io gli spiegai di averne letto alcune dichiarazi­oni pubbliche; e di non sentirmene garantito per il tipo di difesa necessario in una battaglia giudiziari­a decisiva, non solo per me. Lui mi ascoltò, a margine di un convegno a Milano, e mi rispose “accetto”. Galasso sostenne da Palermo il peso maggiore della causa. Ma lui giunse per gli appuntamen­ti importanti lasciando gli impegni politici.

CON LA SUA PRESENZA scardinò pregiudizi e stereotipi, mettendo simbolicam­ente in difficoltà le logiche di schieramen­to su cui il fronte opposto aspirava a costruire la propria vittoria. Non fuggì né si trasse indietro nemmeno quando si trattò di tirare in causa la figura di Giulio Andreotti, e allora per chi faceva politica a quei livelli non era certo facile. Restò vicino anche sul piano umano. Alla fine, come anche Galasso, quando gli chiedemmo quanto gli dovessimo ci rispose con semplicità: “Nulla”. Ho capito che se queste cose non le ricordassi io non le ricordereb­be nessuno, perché forse nessuno le sa.

Ma quel maxiproces­so fu un evento, qui lo ripeto ancora una volta, più culturale che giudiziari­o. In cui le culture che il Paese esprimeva si ritrovaron­o nude una di fronte all’altra. E delle due vinse miracolosa­mente quella che appariva minoritari­a.

Anche grazie a quell’avvocato genovese, che poi credette nel partito liberale di massa e si fece abbagliare dai trionfi elettorali, lui che aveva guidato un partito dell’1-2 per cento. E di cui ho pensato che fosse comunque mio dovere ricordare, ora che non c’è più, questa scelta di generosità civile.

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Fu Guardasigi­lli nel
’94, 1º governo Berlusconi
FOTO ANSA L’avvocato Fu Guardasigi­lli nel ’94, 1º governo Berlusconi

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