Il Fatto Quotidiano

A2A si ferma al Tar: lo stop in Brianza porta molti guai

GUERRA DELLE MULTI-UTILITY Sospesa l’integrazio­ne con AEB, ora sono a rischio affari simili che la Spa di Milano e Brescia sta realizzand­o in Veneto e Lombardia

- » Marco Palombi

Succede ogni tanto che Davide sconfigga Golia o almeno che lo tenga fermo per qualche mese grazie a una sentenza del Tar. È successo venerdì pomeriggio al tribunale amministra­tivo di Milano in cui A2A – una multiutili­ty da 7,3 miliardi di euro di fatturato nel 2019 – s’è vista bloccare l’ingresso nel capitale di AEB, che sta per Ambiente Energia Brianza, cioè l’azienda pubblica (al 71% del Comune di Seregno) a cui i sindaci di un bel pezzo della provincia hanno affidato in house i servizi alla cittadinan­za (acqua, rifiuti, energia, eccetera) e che nel 2018 valeva ricavi per oltre 220 milioni. Scontato il ricorso di A2A al Consiglio di Stato.

Davide contro Golia, si diceva, perché l’ennesimo capitolo della guerra delle acquisizio­ni nel settore dei servizi pubblici al Nord viene fermato dal ricorso di due piccole imprese (la Centro servizi termici e la Depositi Carboni Bovisa) e da un consiglier­e comunale di Seregno (Tiziano Mariani) il cui inopinato successo al Tar avrà effetti esponenzia­li per A2A: in Veneto, infatti, sta provando a fare un’operazione simile con le municipali­zzate di Vicenza e Verona; in Lombardia la partnershi­p già operativa con LGH (che opera nelle province di Cremona, Pavia, Lodi e Brescia) è stata bocciata con gli stessi motivi da Tar e Autorità Antitrust. Quali motivi? Riassumend­o all’osso, queste fusioni/integrazio­ni societarie di aziende pubbliche devono avvenire con una gara: non ci si può mettere d’accordo e basta, si deve dimostrare che quella è l’offerta migliore possibile.

PER CAPIRE serve un riassunto. A2A è una Spa quotata in Borsa, un colosso capace di produrre utili per oltre 300 milioni l’anno, nato dalla fusione delle municipali­zzate di Milano e Brescia: sono i due Comuni (entrambi amministra­ti dal Pd con Beppe Sala ed Emilio Del Bono) gli azionisti di maggioranz­a col 50% più due azioni, il resto è sul mercato.

Insomma, la quota di controllo è in mano pubblica, ma la gestione è privatisti­ca: il punto centrale è fare profitti come e dove si può, tanto è vero che A2A non disdegna di investire all’estero. Una critica, va detto, che può essere estesa a tutti i big di un settore che vale quasi il 7% del Pil ed è una sorta di bancomat garantito dalle bollette: Hera, Iren, Acea eccetera, tutte a proprietà pubblica ma a gestione privatisti­ca.

Da qualche tempo la contesa tra i big del settore ha preso la forma di una sorta di risiko per la conquista dei territori o, meglio, delle municipali­zzate che sui territori detengono gli affidament­i diretti dei servizi alla cittadinan­za: l’oro dei rifiuti, il bancomat dell’acqua, etc. In questo contesto, a ottobre A2A s’è presentata ai brianzoli offrendo un accordo: in un complesso gioco societario, alla fine la Spa quotata avrebbe avuto il 33,5% delle azioni di AEB e la direzione e il coordiname­nto di tutte le controllat­e, cioè le aziende che accendono le luci in

Davide contro Golia

Il ricorso è di un consiglier­e comunale e due piccole imprese: i giudici, come in altri casi, hanno stabilito che per alienare un’azienda pubblica serve una gara

strada, ritirano i rifiuti, portano il gas a casa e via dicendo. Il 20 aprile, poi, è arrivato il via libera del Comune di Seregno, bloccato ieri dal Tar. Va detto che, al di là degli effetti finanziari, cedere il controllo della gestione a un colosso come

A2A non è senza effetti come sanno bene – per non fare che un esempio – a Cremona: il sindaco aveva in programma la chiusura dell’incenerito­re, ma ha dovuto rinviarla al 2029 quando A2A ha preso il controllo di LGH, l’azienda locale.

Tra i pochissimi a opporsi alla fusione in Brianza è stato il consiglier­e regionale M5S Marco Fumagalli, che ha anche aiutato i ricorrenti: “Finalmente un’ordinanza che blocca quelle operazioni in cui, per effetto di accordi sotto banco, si cedono quote di società pubbliche ai poteri finanziari in barba alla trasparenz­a. Volevano svendere la società con la scusa di farci risparmiar­e un centesimo al metro cubo sul gas. Questa partita era così importante che ad aiutarci sono intervenut­i in giudizio anche due ex amministra­tori di municipali­zzate venete”.

E qui si vede la dimensione del problema apertosi venerdì per A2A. Queste due persone sono Gian Paolo Sardos Albertini e Michele Croce, ex presidenti di Agsm Verona, che dovrebbe aggregarsi con Aim Vicenza e A2A in un nuovo gruppo detto Muven: Multi-utility Veneto.

Sarebbe la risposta di A2A allo smacco subito sul ricco mercato del Nordest ( Aim e Agsm valgono 320 milioni di ricavi) con Ascopiave, che ha deciso di stringere un accordo con Hera: si dice “sarebbe” perché le modalità di integrazio­ne in Veneto sono le stesse censurate dalla sentenza di ieri. In sostanza: l’alienazion­e di azioni e controllo gestionale di società che hanno ottenuto affidament­i diretti in quanto di proprietà pubblica deve avvenire in modo trasparent­e e tramite gara. Tradotto: per vendere proprietà, contratti e bacino clienti serve vedere se, per caso, non ci sono offerte migliori.

È ESATTAMENT­ELO stesso tipo di censura arrivata per l’ingresso di A2A in LGH, Linea Group Holding, attiva nelle province di Cremona, Pavia, Lodi e Brescia, 550 milioni di ricavi nel 2018. Quella partnershi­p, operativa dal 2016, è stata bocciata per la mancanza di una gara sia dall ’Antitrust che dall’a n ac , delibera, quest’ultima, benedetta pure dal Tar del Lazio, che a ottobre 2019 ha bocciato un ricorso per il suo annullamen­to. “Ora chiederò che quelle delibere vengano applicate”, dice Fumagalli. In sostanza, di annullare l’affare: Golia farebbe bene a preoccupar­si.

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