L’espresso era anti-casta, ora vota no ai tagli
Ha denunciato per anni i costi esagerati della politica: “Ma il virus ha cambiato tutto, ora servono istituzioni forti”
Aguardarsi allo specchio, alla volte, può capitare di non riconoscersi. Gli appassionati dell’e spresso , lo storico settimanale fondato da Eugenio Scalfari e Arrigo Benedetti, avranno nelle immagini di questa pagina materiale buono per tentare l’esperimento, liberi poi di dar colpa all’età o magari alla nuova acconciatura.
Certo è che fa impressione come proprio l’espresso, cugino ribelle del gruppo che una volta portava il suo nome, abbia cambiato atteggiamento nei confronti della politica, dei suoi costi e dei suoi sperperi: un tempo censore a suon di inchieste su vitalizi, pensioni d’oro e onorevoli strapagati, oggi oppositore al referendum sul taglio dei parlamentari e strenuo difensore di ognuno dei 945 scranni.
NUOVO CORSO. La linea l’ha data l’altro giorno il direttore Marco Damilano, ora che l’affievolirsi dell’emergenza Covid consente di tornare a parlare anche della riforma, già approvata in Parlamento, che riduce da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori. Damilano ha le idee chiare e smentisce la tesi secondo cui in tempo di crisi si possa recuperar denaro sforbiciando i costi della politica: “È un falso, questo è il tempo sbagliato. E per questo bisogna parlarne fin da ora”. Secondo il direttore, “la crisi post- Covid richiede più politica e quindi più Stato. In tutto l’occidente la risposta va nella direzione di un rafforzamento delle istituzioni, solo in Italia lo Stato è uscito smantellato”.
E allora “il Parlamento già estenuato è alla vigilia di un referendum che mira a sgretolare un altro pezzo di quel poco di prestigio che ancora rimane alle Camere”.
TEMPI ANDATI. Fermi tutti, verrebbe da dire, ci eravamo sbagliati. O perlomeno si era sbagliato l’es presso in tanti anni di storia, perché da sempre il settimanale aveva fatto della lotta alla “casta” una battaglia identitaria. Basta scorrere qualche copertina: “Casta per sempre” (2016), “Gattopardi di provincia” (2015, per denunciare gli sprechi locali), “Un privilegio da 200 milioni” (2011, sulle pensioni dei parlamentari), “Tre miliardi di euro ai partiti”(2010), “Onorevole si dia un taglio” (2007) e così via. Segno di un indirizzo editoriale chiaro, di denuncia rispetto ai privilegi della politica e ai costi dei Palazzi.
IMBARAZZO CONDIVISO. Beninteso: essere contrari alla riforma odierna sul taglio delle poltrone è legittimo, quel che stride è il confronto con il passato. Anche perché l’espresso ha sempre rivendicato la propria autonomia editoriale e stilistica rispetto al gruppo ( oggi Gedi, maggioranza Exor, famiglia Agnelli-elkann) mentre in questo caso il settimanale e i principali quotidiani potrebbero ritrovarsi in piena sintonia. Anche nel caso di Repubblica , però, non sfuggirà un certo imbarazzo: nel 2007 il vicedirettore Sergio Rizzo (all’epoca al Corriere ) scrisse insieme a Gian Antonio Stella il celebre La Casta, epitome giornalistica di tutti i peggiori sprechi di denaro pubblico della politica, dai portaborse in famiglia ai mille uffici inutilizzati a carico dei contribuenti. Acqua passata? Il rischio è che rimanga soltanto l’effetto Amarcord , proprio come per i caratteri urlati delle vecchie copertine del settimanale.