B. via da Palazzo Grazioli: addio festini e satiriasi
Silvio lascia la casa romana dove ha scritto la storia porno-politica del suo ventennio al potere: dal lettone di Putin alle notti bianche con le escort
Addio Palazzo Grazioli. Silvio lascia, se ne va. La prossima residenza romana sarà la villa sull’appia Antica che il Cavaliere aveva regalato a Franco Zeffirelli. Ora che il regista è scomparso e la sua splendida magione ristrutturata, Berlusconi ne riprende possesso. Un angolo verde di Roma, riparato, lontano dal centro, dai palazzi, dal potere: è il rifugio scelto per il crepuscolo.
Silvio si toglie un peso economico, per lui in fondo davvero modesto: i 40mila euro al mese dell’affitto in via del Plebiscito, suo domicilio romano dal lontano 1996, a tre minuti da Palazzo Chigi e metà strada tra i marmi dell’altare della Patria e il profilo austero del Collegio romano dei gesuiti.
Una spesa in meno, certo, ma Berlusconi taglia soprattutto un pezzo di sé, della storia sua e di uno sciagurato ventennio italiano.
IL BELL’ARTICOLO di Mario Ajello sul Messaggero racconta alcuni scenari fondamentali di Palazzo Grazioli: i corridoi damascati, i salottini, il divanetto dove si addormentava Paolo Bonaiuti quando Berlusconi tirava tardi, il “piano nobile in cui Putin lanciava la pallina a Dudù”, la stanza con la televisione e l’albero di Natale alto due metri di Swaroski, la sala da pranzo chiamata “lo scannatoio” per le tremende faide sui destini e le candidature di Forza Italia.
Tutto bellissimo, ma in questo ritrattone della reggia romana di B. manca il vero motivo della sua immensa, decadente leggenda. Ci si conceda una licenza vernacolare: le mignotte. Perché Palazzo Grazioli è questo, l’affresco e la cornice di una storia incredibile: di un uomo che per due decenni ha provato a tenere in mano da solo un intero Paese, per brevi tratti riuscendoci pure, e poi ha perso tutto (o quasi) per la cronica, imbarazzante, maniacale incapacità di controllare la passione per la fessa, il sesso femminile.
E quindi la fuga di Berlusconi dalla sua iconica residenza romana è l’addio a quella vita da thriller porno-fanta-politico: il lettone di Putin, il bagno dove le scosciate ospiti delle cene eleganti si fotografavano sorridenti allo specchio, le stanze dove ai capi di Stato si alternavano i Tarantini, i Lavitola, gli Apicella al pianobar; gli infiniti aneddoti sulla satiriasi del Cavaliere. Palazzo Grazioli era la casa delle “torte”, come si sente in un’interce ttazione. Più prosaicamente: le orge. Secondo l’inchiesta di Bari, le giovani professioniste che accedevano liberamente al palazzo del potere erano 19. Dovevano essere, secondo le raccomandazioni raccolte da Tarantini, “bellissime, giovani, molto professionali e consapevoli della necessaria riservatezza”. Lavitola invece ricorda una rubrica fissa di 23 fanciulle e racconta ancora con un certo sgomento che B. si premurava personalmente che le ragazze non fossero perquisite: “Immaginate cosa significava per la sua sicurezza personale”.
Preoccupazione condivisa dalla corte di berlusconiani che avevano annusato l’aria di Palazzo Grazioli. Tanto che nel 2009 Fabrizio Cicchitto e altri dirigenti del Pdl avviarono un’indagine interna al Copasir per sapere quale protezione fosse riservata al premier nelle sue residenze private, facendo arricciare le sopracciglia a Gianni Letta.
IN QUESTO
senso la first lady di Palazzo Grazioli, più che l’ex compagna Francesca Pacale, deve essere considerata l’escort barese Patrizia D’addario. Sono teneri i ricordi delle sue vacanze romane: “Per tutta la notte mi sono intrattenuta con lui (Lui, ndr), consumando sia rapporti intimi che parlando ininterrottamente, nonostante avessi sonno”. Era il 4 novembre 2008, data storica: Barack Obama diventava presidente degli Stati Uniti. “Berlusconi era stato invitato alla cena in ambasciata americana, ma il presidente declinò l’invito dicendo che aveva la febbre per stare con noi. Poco prima aveva lasciato in tutta fretta il presidente Napolitano, sempre per raggiungere noi: me, Barbara Montereale, Lucia Rossini e Gianpaolo Tarantini”. Sul leggendario lettone di Putin – testimoniò con dolcezza D’addario – “avemmo rapporti, parlammo a lungo e lui mi dedicò anche delle poesie”.