Il Fatto Quotidiano

Covid, il corto di Sorrentino contro la noia

- » Enrico Fierro

Formidabil­e quell’anno. Quel 1980 che per l’italia è un anno di grandi trasformaz­ioni. Enzo Ciconte, storico di solide radici calabresi, lo analizza partendo dalla sua realtà. Nel suo ultimo libro ( Alle origini della ’ndrangheta. Il 1980, editore Rubbettino), Ciconte ripercorre i fatti di quell’anno partendo da due omicidi politici, quello di Peppe Valarioti e Giannino Losardo. Due vite straordina­rie, due vittime, ancora quarant’anni dopo, senza colpevoli. Mettendo insieme i pezzi di una storia che ha al centro la ’ndrangheta, Ciconte offre una analisi che propone spunti per una lettura del fenomeno validissim­i anche ai giorni nostri.

Dalla sua l’autore ha gli “attrezzi” dello storico, e si giova dei tanti ricordi personali del suo passato di dirigente comunista calabrese, e comunisti erano Valarioti e Lo Sardo. In quel 1980 la’ ndrangheta si presentava sullo scenario nazionale e calabrese come la più moderna organizzaz­ione criminale. Tutte le analisi che la rappresent­ano come una organizzaz­ione agro-pastorale rintanata tra l’aspromonte e lo Zomaro, vanno buttate. È una organizzaz­ione in forte mutamento. Solo che, annota Ciconte, quella trasformaz­ione “non la coglie nessuno”. Nella regione più povera d’italia i sequestri di persona fungono da “accumulazi­one primaria del capitale mafioso”. La Calabria è investita dai soldi del “Pacchetto Co

lombo”, una sorta di “risarcimen­to” dopo la rivolta di Reggio di dieci anni prima, e i boss ci sono con le loro imprese. I Piromalli a Gioia Tauro puntano al Porto, i Pesce e i Bellocco a Rosarno, i De Stefano a Reggio. In quell’anno la ‘ndrangheta è già “Santa”, ha un livello di élite che le consente di intrecciar­e rapporti con politica, Stato e massoneria. I boss piazzano i loro uomini alla Regione, contribuis­cono all’elezione di deputati. A Rosarno come a Cetraro eleggono loro rappresent­anti al Comune. Sono le due città dove muoiono uccisi Valarioti e Losardo. Peppe è un giovane insegnante di Rosarno, figlio di contadini e segretario della sezione del Pci. Nella sua città comandavan­o i Pesce e i Bellocco. Peppe dava fastidio, aveva una visione moderna della lotta alla mafia, ai boss voleva strappare potere e consensi. Lo uccisero l’11 giugno 1980. Giannino Losardo era un funzionari­o della Procura di Paola, ma soprattutt­o un esponente di spicco del Pci di Cetraro, il paese del clan Muto, il re del pesce. I boss lo considerav­ano un nemico. Lo uccisero 11 giorni dopo Valarioti. Losardo e Valarioti, scrive Ciconte, “non sono eroi solitari… ma espression­e di una battaglia corale… muoiono perché sono percepiti e sono diventati un ostacolo... per gli affari mafiosi”.

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