Covid, il corto di Sorrentino contro la noia
Formidabile quell’anno. Quel 1980 che per l’italia è un anno di grandi trasformazioni. Enzo Ciconte, storico di solide radici calabresi, lo analizza partendo dalla sua realtà. Nel suo ultimo libro ( Alle origini della ’ndrangheta. Il 1980, editore Rubbettino), Ciconte ripercorre i fatti di quell’anno partendo da due omicidi politici, quello di Peppe Valarioti e Giannino Losardo. Due vite straordinarie, due vittime, ancora quarant’anni dopo, senza colpevoli. Mettendo insieme i pezzi di una storia che ha al centro la ’ndrangheta, Ciconte offre una analisi che propone spunti per una lettura del fenomeno validissimi anche ai giorni nostri.
Dalla sua l’autore ha gli “attrezzi” dello storico, e si giova dei tanti ricordi personali del suo passato di dirigente comunista calabrese, e comunisti erano Valarioti e Lo Sardo. In quel 1980 la’ ndrangheta si presentava sullo scenario nazionale e calabrese come la più moderna organizzazione criminale. Tutte le analisi che la rappresentano come una organizzazione agro-pastorale rintanata tra l’aspromonte e lo Zomaro, vanno buttate. È una organizzazione in forte mutamento. Solo che, annota Ciconte, quella trasformazione “non la coglie nessuno”. Nella regione più povera d’italia i sequestri di persona fungono da “accumulazione primaria del capitale mafioso”. La Calabria è investita dai soldi del “Pacchetto Co
lombo”, una sorta di “risarcimento” dopo la rivolta di Reggio di dieci anni prima, e i boss ci sono con le loro imprese. I Piromalli a Gioia Tauro puntano al Porto, i Pesce e i Bellocco a Rosarno, i De Stefano a Reggio. In quell’anno la ‘ndrangheta è già “Santa”, ha un livello di élite che le consente di intrecciare rapporti con politica, Stato e massoneria. I boss piazzano i loro uomini alla Regione, contribuiscono all’elezione di deputati. A Rosarno come a Cetraro eleggono loro rappresentanti al Comune. Sono le due città dove muoiono uccisi Valarioti e Losardo. Peppe è un giovane insegnante di Rosarno, figlio di contadini e segretario della sezione del Pci. Nella sua città comandavano i Pesce e i Bellocco. Peppe dava fastidio, aveva una visione moderna della lotta alla mafia, ai boss voleva strappare potere e consensi. Lo uccisero l’11 giugno 1980. Giannino Losardo era un funzionario della Procura di Paola, ma soprattutto un esponente di spicco del Pci di Cetraro, il paese del clan Muto, il re del pesce. I boss lo consideravano un nemico. Lo uccisero 11 giorni dopo Valarioti. Losardo e Valarioti, scrive Ciconte, “non sono eroi solitari… ma espressione di una battaglia corale… muoiono perché sono percepiti e sono diventati un ostacolo... per gli affari mafiosi”.