L’amore puro di Maria nella penna dell’alberti
Per “Passa parola”, dove gli scrittori di oggi si ispirano ai classici, ha pubblicato “Mio Signore”, dedicato a “La Madre Santa” di Von Sacher-masoch
Michela Murgia ha inaugurato la collana di Marsilio, “Pas sa parola”, originale iniziativa che si propone di accoppiare libri inediti di scrittrici e scrittori a classici del passato, attraverso scelte di stile e di gusto personali, a rappresentare, appunto, un ideale passaparola, da sempre lo strumento più artigianale ed efficace capace di fare la fortuna di un libro, moltiplicandone i lettori.
Dopo la scrittrice sarda che ha scelto di riferirsi a Bradley, sono seguiti Alessandro Giammei con Fitzgerald, Lisa Ginzburg con Shelley, Simona Vinci con Grimm, Annalisa De Simone con Jane Austen e, appena pubblicato, Mio Signore di Barbara Alberi che ha scelto quello che lei stessa nella postfazione, ha definito non padre ma consanguineo, il romanzo
La Madre Santa di Leopold von Sacher-masoch.
Alberti accomuna la campagna ucraina di fine 800 descritta da Von Sacher- Masoch a Fratta, il nome antico di Umbertide, un paese umbro in cui è ambientato gran parte del romanzo ambientato negli ormai arcaici anni 60. C’è sempre qualcuno a scovare la presenza del divino nel prossimo. Di un bel viso di vergine, un’incauta ragazzina, Von Maosch ne fa la Madonna. È venerata da una setta di fedeli devoti comemadre di Dio, ed elargisce punizioni. Mentre Barbara Alberti, nel solco del capovolgimento – forte di propria invincibile originalità – segue le vicende di una donna di nome Maria che scambia il proprio vicino di casa nientemeno che per il Dio incarnato. Ed ecco un povero sfigato caricato dal complicato ruolo pur essendo lui “L’ultimo degli ultimi”, e lei – Maria, il nome del personaggio – “testimone di un Dio perdente”. Ecco, quindi, la miscela perfetta di un racconto tutto da godere. Anche senza scomodare l’illustre barone austriaco di origini ucraine, Mio Signore sa ricreare quell’atmosfera di piccola comunità dove i fatti di uno sono i fatti di tutti, dove niente si può nascondere, dove l’occhio sociale è implacabile, cinico e quasi mai benevolo. I caratteri dei personaggi sono volutamente grotteschi, sorretti magnificamente dal dialetto umbertidese, di cui la scrittrice fornisce un gustoso piccolo vocabolario, ma che facilmente si comprende e veste i personaggi facendone risaltare le piccole vanità, le grandi invidie, i rancori violenti, la smania di vendetta, ma anche il bene che, sempre riesce a farsi strada anche quando tutto sembra perduto. Su tutti si staglia la protagonista della storia, all’inizio il personaggio più anonimo, meno visibile, pura comparsa nella comunità. Il suo delirio travalica nel climaxdel racconto e dà senso a una vita grigia di stenti e umiliazioni. Accanto a lei il suo alter ego m a s c hi l e , l’uomo che tutti facilmente mettono alla berlina, il più vulnerabile, in un gioco di beffe continue di cui rappresenta un bersaglio anche troppo facile.
Pian piano il gioco cambia, i personaggi assumono altri ruoli, in un giro di valzer in cui i ruoli cambiano, i forti diventano deboli e viceversa. Alvaro è il nostro personaggio preferito, l’invincibile giocatore di poker che per la sua eleganza proprio fuori luogo e la sua bravura, è l’unico personaggio a destare ammirazione sincera nei suoi compaesani. Maria è l’amore puro, troppo difficile da comprendere per i frattesi, Andrea nonostante la metamorfosi, resta il solito maschio che tra gli istinti predatori nemmeno troppo rapaci e l’amore disinteressato, sceglie i primi rimpiangendo per sempre il secondo. Il finale non si può, qui più che mai svelare.
Ambientato
A Fratta, il nome antico di Umbertide, paese umbro immerso negli ormai arcaici anni Sessanta