Il Fatto Quotidiano

Condanna, trattativa e grazia Le amnesie dei “revisionis­ti”

- » Fabrizio d’esposito

La Sentenza arrivò con il digitale terrestre e sventrò Palazzo Grazioli. Erano le 19 e 38 del primo agosto del 2013. Silvio Berlusconi era in tuta blu, accoccolat­o sul divano insieme con Dudù, l’amato barboncino di colore bianco. Il televisore sintonizza­to su una rete “domestica”, Canale 5. Il giudice Antonio Esposito lesse il dispositiv­o in sessanta secondi. Un minuto che valeva una parabola di vent’anni, a far data dal Novantatré in cui maturò la “discesa in campo” del tycoon italiano. E da Cavaliere, B. divenne Pregiudica­to.

Attorno a lui, in quell’ora fatidica, lacrime e sguardi sgomenti, al punto che lo stesso Neo-condannato tentò di rassicurar­e tutti: “State calmi, per il momento”. Indi un bacio rivelatore a Daniela Santanchè, la Pitonessa a capo dei falchi azzurri insieme con l’a ll ora compagno Alessandro Sallusti, direttore del G iornale di Famiglia. Silvio le sussurrò all’orecchio: “Avevi ragione tu, Daniela”.

QUEL GIORNO infatti si consumò l’amara vendetta degli ultrà berlusconi­ani che non avevano mai creduto, sino all’ultimo, alle promesse del cosiddetto partito del pareggio o del rinvio. A Palazzo Chigi c’era il governo consociati­vo di Enrico Letta che aveva due solidi punti di riferiment­o dentro il magico mondo di B.: lo Zio Gianni, Gran Visir di rito romano e andreottia­no, e il potente Angelino Alfano, già delfino senza quid e capodelega­zione di Forza Italia nell’esecutivo. Secondo la vulgata informata dei falchi, Zio e Nipote più Angelino, con la benedizion­e solenne del Colle di Giorgio Napolitano, a suo tempo avrebbero fatto balenare al Caro Leader l’ipotesi della pacificazi­one travestita da una decisione favorevole della Cassazione: annullamen­to con rinvio. Cioè rispedire il processo Mediaset in Appello e imboccare

RICOSTRUZI­ONE CI FU UN SOLO COMPLOTTO: SALVARE “SILVIO” A TUTTI I COSTI

quindi la strada della solita prescrizio­ne.

C’erano anche delle subordinat­e. Tutto fuorché la temuta sentenza di condanna. Così parlò, per esempio, Maurizio Gasparri il 27 luglio, durante la Grande Attesa: “Cosa faremo se martedì condannano Silvio Berlusconi? L’i po t es i che si tenga l’udienza è al secondo posto. Al primo posto c’è la notizia, ossia che ci sarà il rinvio”.

ECCO, DUNQUE,

quali erano il clima e il contesto in cui piombò la Sentenza letta dal giudice Antonio Esposito in appena sessanta secondi. Pacificazi­one, annullamen­to con rinvio, prescrizio­ne. L’illusione di un salvacondo­tto ad personam per tutelare l’inciucio di Pd e FI al governo. Oggi i media berlusconi­ani, vecchi e nuovi, gridano al complotto guidato da Napolitano contro B.: in realtà la gran parte della classe politica della Seconda Repubblica sperò nella salvezza del Caro Leader azzurro.

Non solo. All’indomani della condanna, iniziò il secondo tempo della trattativa. Stavolta per la grazia a Berlusconi. Ieri, sempre sul Giornale, è stato pubblicato un altro clamoroso dettaglio di quella fase. Clamoroso, se vero, ovviamente. A raccontarl­o l’ex senatore Augusto Minzolini, retrosceni­sta di fama: subito dopo la pronuncia della Suprema Corte, Napolitano sarebbe addirittur­a andato dal professore Franco Coppi, uno dei difensori di B., nel suo studio legale ai Parioli, a Roma. Una discussion­e, chiamiamol­a così, per verificare le condizioni della grazia al leader azzoppato. Ma il riservatis­simo colloquio, secondo il

Giornale, non andò bene. Coppi manifestò subito il no del Condannato a un provvedime­nto di clemenza collegato al ritiro dalla politica.

Ieri il Fatto ha interpella­to fonti vicine al presidente emerito. Fanno sapere di non aver nulla da dire sulla “grancassa” di questi giorni, alimentata anche da quel Sallusti che venne graziato proprio da Napolitano per una condanna per diffamazio­ne. Il professore Coppi, invece, non ha risposto a una richiesta di chiariment­i, ma un quarto d’ora dopo le nostre chiamate ha mandato un comunicato alle agenzie di stampa: “Tutto falso”.

In ogni caso, a ridosso del Ferragosto del 2013, il Quirinale fece una lunga nota, tecnicamen­te una “dichiarazi­one”, per puntellare il governo Letta e affrontare la questione Berlusconi. Per decidere su un’eventuale grazia, il centrodest­ra avrebbe dovuto innanzitut­to accettare e riconoscer­e la sentenza. A quel punto nel percorso per arrivare a un gesto di clemenza – riferirono all’epoca gli esegeti del Colle – il Condannato avrebbe dovuto fare un passo indietro, da leader a padre nobile. La trattativa si trascinò fino all’autunno, quando in vista del voto sulla decadenza di Berlusconi al Senato, si parlò di grazia ad personam. Il Fat

to anticipò la notizia il 22 ottobre. Il Colle la smentì come “panzana assurda”. Un anno dopo, Alfano consegnò a Bruno Vespa una versione opposta a quella del Quirinale: “Napolitano accettò la proposta di una grazia motu proprio

per B. a patto che lui si dimettesse dal Senato”. Alfano tornò a Palazzo Grazioli “entusiasta”, ma Niccolò Ghedini lo gelò con un no. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ho sentito Silvio, è un fatto che se fosse vero sarebbe gravissimo

Matteo Renzi

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FOTO LAPRESSE Al Quirinale Giorgio Napolitano
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