Il Fatto Quotidiano

Colombo • Lo schiaffo egiziano

- FURIO COLOMBO

Due eventi internazio­nali di giudici e tribunali hanno coinvolto l’it a li a nel corso di una settimana. La Corte di Giustizia dell’aja ha accolto la posizione italiana sulla tragica vicenda dei due marinai italiani di scorta a una nave privata, che hanno sparato e ucciso quando hanno creduto che due uomini in acqua fossero pirati. L’italia ha ammesso il gravissimo errore, ha difeso la non intenziona­lità del tragico evento, ha pagato ciò che la giustizia indiana ha indicato (benché la vita di uomini non sia risarcibil­e) e ha posto il problema della giurisdizi­one (chi deve giudicare?) per non abbandonar­e due cittadini alla prigionia lontana e a un percorso giuridico sconosciut­o. Nell’attesa ha osservato tutte le regole che sono state imposte agli imputati , alla loro diplomazia, al loro governo, al loro Paese. Un comportame­nto chiaro e privo anche di minimi inganni procedural­i, di pretese di potere e di trucchi ha sortito il suo effetto.

IL SECONDO EVENTO è l’egitto, dove quattro anni fa è stato ucciso, dopo cattura, detenzione e torture, il giovane ricercator­e italiano Giulio Regeni, che era in missione di studio in quel Paese, inviato dall ’ Università di Oxford, in cui stava lavorando al suo dottorato. Alcuni fatti odiosi o misteriosi o rimasti per sempre oscuri hanno segnato in modo torbido l’evento. Il corpo è stato ritrovato abbandonat­o in una strada periferica del Cairo in condizioni che rivelavano gravissime e deliberate ferite ricevute da vivo e dunque in una situazione di prigionia e di tortura. Le autorità di polizia locali hanno identifica­to e ucciso un piccolo gruppo di borseggiat­ori locali, nel corso di una operazione indicata come “definitiva scoperta del delitto”. Il tentativo è stato un passo falso, la prima rivelazion­e che c’era una segreto da coprire e una pista di Stato da far sparire. Sul momento il governo italiano è sembrato fermo, ha richiamato l’a mbasciator­e e preteso una vera indagine che il presidente-dittatore Al Sisi ha prontament­e promesso. Presto però comincia a disegnarsi una diplomazia italiana molto più debole e indecisa di quella che ha protetto fino alla fine i marò che rischiavan­o il processo in India. Questa volta l’assistenza avviene in un clima di gentilezza, come fra amici che insieme vedranno un po’che cosa si può fare tenendo conto che quel che è stato è stato e che la vita continua, come i commerci fra Paesi amici. Amici nonostante la cattura, la prigionia, le lunghe e feroci torture, fino alla morte di un giovane italiano colpevole di nulla? Eppure l’ambasciato­re italiano viene rimandato quasi subito in Egitto, seguito da discorsi fra amici che si dichiarano: “Insieme scopriremo la verità”.

S’intende che i primi a essere offesi, nel loro immenso dolore, sono madre e padre Regeni, che si sentono lasciati soli, con il corpo martoriato del figlio. Ma anche la magistratu­ra italiana viene isolata e beffata. Gli strumenti giuridici vengono ignorati. I giudici egiziani non rispondono a nulla, o usano modeste parodie di possibili rivelazion­i. Un momento particolar­mente triste e disonorevo­le per il governo c’è stato quando i genitori Regeni chiedevano almeno il gesto simbolico di ritirare di nuovo l’am basciatore, visto l’indegno comportame­nto egiziano. “Uno schiaffo all’italia”, ha detto il presidente della Camera dei deputati Fico, unica autorià italiana insorta. Gli ha risposto un po’ stizzito un sottosegre­tario agli Esteri che “gli ambasciato­ri non sono pedine”. E invece è esattament­e quello che sono, in un radicale cambiament­o della diplomazia in cui i capi di Stato e di governo comunicano direttamen­te e persino i ministri degli Esteri sono portavoce e simboli. Avere al Cairo un simbolo di legami d’amicizia Egitto-italia (al punto da vendere nel frattempo all’egitto due costosissi­me navi da guerra), mentre la polizia e i servizi locali hanno dimenticat­o e i servizi segreti italiani sembrano tenersi lontano è probabilme­nte un grave errore. Ma fate attenzione a un sinistro dettaglio. Una finzione di indagine su un unico fatto certo (assassinio di un cittadino italiano inviato al Cairo da una università inglese per raccontare certi sindacati) ha puntato sempre al progetto di scoprire chi ha compiuto (e in modo orrendo) il delitto. Ma non si è posta mai la domanda: per quale ragione o mandato il giovane dottorando italiano è stato ucciso? In quale contesto o situazione politica, per chi e contro chi e in base a quali possibili o probabili ragioni è avvenuto il crimine, in quel modo terribile e simbolico, come un avvertimen­to? È vero che richiamare a Roma l’ambasciato­re italiano al Cairo danneggere­bbe i nostri interessi. Non sarà la ragione stessa del delitto e un percorso da esplorare per i nostri esperti? Pensate, ogni volta che si reca a Palazzo, il rappresent­ante della Repubblica italiana stringe le mani degli assassini di Giulio Regeni.

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