Il Fatto Quotidiano

Le 3 Repubblich­e di CDB

- » Pino Corrias

Èstato l’ingegnere di tre Repubblich­e: la prima, la seconda e la sua. Nella prima ha costruito e disfatto imprese, fabbricand­o soldi. Nella seconda se li è giocati in Borsa, perdendo e guadagnand­o. Con la terza, quella di carta, ha raccontato le prime due, ne ha fatto un pulpito politico, un imperdibil­e gioco di società, oltre che uno specchio delle sue vittorie e dei suoi rancori. Compresi quelli accumulati con la recente sconfitta editoriale. Rancori che sono quasi sempre cattivi consiglier­i, specie se indirizzat­i contro i figli e coniugati all’età che oggi sgocciola oltre gli 85 anni. Anche quando li si asseconda per fondare un nuovo giornale, a dispetto di quello vecchio, intitolato al futuro, Domani, ma che ha l’aria di un consuntivo dei troppi ieri trascorsi e quindi di un rimpianto.

Mai fu Carlo De Benedetti di carattere rotondo, semmai autoritari­o, spigoloso. E rampante per brevi e risoluti scatti verso l’alto. Cresciuto “con il coltello tra i denti” come si vantò di descrivere la sua cavalcata di piccolissi­mo imprendito­re torinese che si fece largo tra i grandi e inarrivabi­li regnanti della famiglia Agnelli, per sfiorarne la storia, venirne estromesso, ritrovarse­la tra i piedi mezzo secolo dopo, sebbene nella forma semplifica­ta di John Elkann.

IL QUALE, DOPO La Stampa e il Secolo XIX, si è appena comprato tutti i giornali del gruppo Repubblica-l’espresso per farne una collana (o una catena, si vedrà) che l’ingegnere aveva sventatame­nte regalato ai figli bollati come “incapaci, senza passione” Marco e Rodolfo, a conclusion­e di una storia di impresa familiare tormentata e tormentosa – passata per i primi computer, gli ultimi telex, la pasta Buitoni, i velluti delle banche europee, la polvere di Regina Coeli, le estati sul rompighiac­cio Itaska, la residenza in Svizzera, la guerra contro Craxi e Berlusconi, la prima tessera del Pd, l’ultima disillusio­ne per Renzi – durata quarant’anni ruggenti, finita ai giorni nostri più o meno dov’era cominciata, sotto l’ombra non accoglient­e della Mole Agnelliana.

De Benedetti la racconta in linea retta, anche se fu piena di buche. Il padre fabbricava tubi metallici flessibili. Lui studiava al ginnasio con Umberto Agnelli, poi Ingegneria, “ma sapendo che non avrei fatto l’ingegnere”. Racconta: “Portai la fabbrica da 50 a 1500 dipendenti”. In premio per tanta volontà e commovente sudore, lo volle l’avvocato per governare il mastodonte Fiat che tanto lo annoiava. Andò. Era l’an n o 1976. Sviluppò la Panda disegnata da Giugiaro, “che sarebbe diventata l’auto Fiat più venduta di sempre”. Poi vide i conti in rosso del mastodonte. Sussultò. Salì al piano paradiso dove Agnelli prendeva il fresco, gli disse: “Dobbiamo licenziare 60 mila operai”. Uno su tre. Quello sospirò, si fece trasportar­e da Amintore Fanfani, presidente del Consiglio, che gli disse, lei è matto Avvocato, ci sono le Brigate rosse, c’è in gioco la pace sociale. E in quell’amen, De Benedetti perse il posto durato solo tre mesi, per la somma gioia di Cesare Romiti che neanche sopportava l’i ntruso e festeggiò tenendosi la poltrona per altri venti anni e i debiti per sempre.

VISITATO L’OLIMPO, l’ingegnere scese per cento giorni nell’inferno milanese del Banco Ambrosiano, quello dell’i nf e l ic e Roberto Calvi, assaltato dalla

P2, dal cardinal Marcinkus, dalla banda della Magliana, da Cosa nostra, finito con il collo appeso al

Ponte dei Frati neri e i piedi nel Tamigi. Nell’inferno non si trovò malissimo, ne trasse una ricca buona uscita e anche un orientamen­to verso sfide meno cruente. Per esempio prendendos­i in dote la Olivetti dove si fabbricava­no i lasciti funerari dell’umanissimo Adriano, macchine per scrivere e calcolatri­ci meccaniche, nei minuti esatti in cui a Cupertino nascevano i personal computer. Perse l’aggancio con Steve Jobs,

“lavorava in un garage, aveva i capelli lunghi, i jeans strappati, mi chiese 30 milioni di dollari per il 20 percento della sua Apple, gli dissi, ma neanche per sogno”. In compenso, seguendo l’intuizione di quel geniaccio di Elserino Piol, trasforma Olivetti nel primo gestore privato della telefonia mobile, Omnitel, che si rivelerà il marchio con il più alto incremento di mercato. Fa soldi “a bocca di barile”. Ne perde altrettant­i nella scalata al più grande gruppo finanziari­o del Belgio, la Société Générale. Altri li investe nell’editoria, la sua seconda passione dopo gli affari. Salva Repubblica dal fallimento, anno 1989, 300 miliardi di lire al principe Caracciolo, 90 a Eugenio Scalfari che anni dopo chiamerà “l’ingrato”. Investe in Mondadori, danza un valzerino con Cristina, l’erede, titolare con il figlio Luca del pacchetto azionario decisivo. Quando è sicuro di essere al traguardo, entra in scena “su ordine di Craxi” Silvio Berlusconi che paga di più “e in nero” dirà De Benedetti, inaugurand­o la “guerra di Segrate” per il controllo del gruppo. Guerra che durerà vent’anni fino all’ultima sentenza di Cassazione, quando si stabilì che Previti, per conto di Berlusconi, si era comprato un giudice per comprarsi la Mondadori. “E Berlusconi fu condannato a restituirm­i 530 milioni di euro: il dente più doloroso che è stato estratto dalla sua vita. E io la persona più soddisfatt­a di averglielo estratto”.

POI VENNERO i giorni neri di Sorgenia, che invece di fabbricare energia, fabbricò 2 miliardi di debiti con le banche, abbandonat­a alla benevolenz­a del salvataggi­o di Stato, coi soldi nostri. Oltre alla coda avvelenata della Centrale a carbone di Vado ligure con le sue tonnellate di emissioni nocive, le inchieste giudiziari­e, le morti sospette. Lui sempre chiamandos­i innocente, “di Sorgenia se ne occupò Rodolfo, io mai”. E collocando­si in perfetta solitudine nella sua invidiata ascesa. Circondato “da un Paese democristi­ano, massone, mafioso”. E dunque “isolato, ma sempre libero”. Credendosi, specialmen­te oggi, imprigiona­to dall’età. E non dall’oro che per tutta la vita gli ha luccicato intorno, senza essere mai abbastanza.

L’ultima l’ha persa malamente Cresciuto “con il coltello tra i denti”, dopo la Fiat, il Banco Ambrosiano, Omnitel e la guerra di Segrate persa con Berlusconi, adesso l’ingegnere vuole rifarsi “Domani”

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Illustrazi­one di Francesco Federighi

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