Il Fatto Quotidiano

Un geco ai Ferri

- » Marco Travaglio

Ma che deve ancora fare Cosimomari­a Ferri per essere cacciato dalla magistratu­ra? Nato nel 1971 a Pontremoli; figlio del ministro Enrico (quello del Psdi e dei 100 km all’ora, anche lui magistrato, poi eurodeputa­to FI); fratello di Jacopo, consiglier­e regionale FI condannato a 1 anno per tentata truffa, e di Filippo, ex poliziotto condannato a 3 anni e 8 mesi per falso aggravato nel processo per la mattanza alla scuola Diaz (G8 a Genova), dunque capo della sicurezza del Milan berlusconi­ano; giudice a Carrara. Grazie ai rapporti politico-clientelar­i ereditati dal padre, diventa il ras della corrente di destra MI e inizia a colleziona­re incarichi extragiudi­ziari. All’ufficio vertenze economiche della Federcalci­o, viene intercetta­to nel 2005 dai pm di Calciopoli mentre ringrazia il vicepresid­ente Figc Innocenzo Mazzini a nome dell’amico Claudio Lotito, patron della Lazio, per aver fatto designare un arbitro che ha favorito i biancazzur­ri:

“Mi ha detto Claudio di ringraziar­ti. Sei un grande!”. Il Csm archivia e pochi mesi dopo si ritrova Ferri (a soli 35 anni) membro togato, eletto con ben 553 voti. La sua scalata di spicciafac­cende fra politica, giustizia e affari prosegue nel 2009: B. tenta di far chiudere Annozero di Santoro e i pm di Trani intercetta­no Giancarlo Innocenzi, membro forzista dell'agcom, che gli porta buone nuove: “Mi sono incontrato anche con Cosimo e abbiamo messo insieme un gruppo giuristi amici di Ferri, analizzato tutte e 5 le trasmissio­ni e riscontrat­o tutta una serie di infrazioni abba

stanza gravi...”. Ben 15 membri del Csm chiedono di aprire una pratica su Ferri, ma il Comitato di presidenza (Mancino&c.) sorvola pure stavolta, sennò Ferri dovrebbe giudicarsi da solo.

Così il Mister Wolf della Lunigiana continua a trafficare. E a farsi beccare. Nel 2010, indagando sulla P3, i pm romani scoprono che spinge le toghe protette dalla loggia: Alfonso Marra per la Corte d’appello di Milano e non solo lui. Pasqualino Lombardi, faccendier­e irpino della P3, chiama la segretaria di Ferri:

“(Al Csm, ndr) han fatto pure il pubblico ministero di Isernia?”.

E quella: “Aspe', chi ti interessav­a?”. Lombardi: “Paolo Albano, che è pure un amico!”. Lei lo ri

chiama due ore dopo:“Ho chiesto a Cosimo di Albano... m’ha detto che non ci dovrebbero essere problemi”. Un’altra fulgida prova di indipenden­za, che non gli impedisce di pontificar­e sul Riformista per la “trasparenz­a in magistratu­ra” ei “criteri meritocrat­ici” contro la nefasta “influenza correntizi­a” che porta certi colleghi (ce l’ha con Ingroia, mica con se stesso, ci mancherebb­e) ad “apparire di parte”, creando “confusione fra i cittadini”.

Nel 2010 il Csm scade e si libera di lui. Che però, con quel pedigree, diventa segretario di MI e nel 2012 è il magistrato più votato di sempre all'anm ( 1199 preferenze). Nel 2013 FI lo impone sottosegre­tario alla Giustizia nel governo Letta. Lui si dà subito da fare per scongiurar­e la condanna di B. in Cassazione per frode fiscale: va a trovare il presidente Esposito per invitarlo al Premio Bancarella nella natia Pontremoli. Il giudice, per ovvi motivi, declina. B. viene condannato e decàde da senatore. Il 6 febbraio 2014 Ferri porta al neopregiud­icato il giudice relatore della sentenza, Amedeo Franco, che viene registrato mentre viola (mentendo) il segreto della camera di consiglio. Pur essendo un magistrato, Cosimino non denuncia i presunti reati segnalati da Franco, nè il sicuro reato (violazione di segreto d’ufficio) commesso da Franco. Nel giro berlusconi­ano – rivela Tommaso Labate sul Corriere – lo chiamano “il Geco” perché “aspetta nascosto dietro le piante alte dell’ingresso posteriore di Palazzo Grazioli che gli ospiti serali se ne vadano. Poi, incassato il via libera dalla segreteria, sale in casa per conferire col n. 1”. Pochi giorni dopo, l’innominabi­le lo conferma sottosegre­tario alla Giustizia, stavolta in quota Verdini (amico di famiglia). E Napolitano non fa una piega, anche se ha appena respinto Nicola Gratteri come ministro perché “Via Arenula non fa per i magistrati” (almeno per quelli perbene).

Il 6 luglio si elegge il nuovo Csm e Ferri, dal ministero, invia sms agli ex colleghi di MI per far votare i suoi protegé Pontecorvo e Forteleoni (puntualmen­te eletti). Ormai è un conflitto d’interessi vivente: membro del governo, interferis­ce nell’ “organo di autogovern­o” dei magistrati. Che però continua a fregarsene. Come pure l’innominabi­le e i partiti di destra, che fingono di combattere le toghe politicizz­ate e invece le vorrebbero tutta così. Ferri resta sottosegre­tario pure con Gentiloni. Poi nel 2018 viene eletto deputato del Pd per grazia renziana ricevuta (passerà presto a Iv). Lui, berlusconi­ano di ferro. Lui che, quando si candidaron­o Grasso e Ingroia, invocò “nuove regole per tutelare la credibilit­à della magistratu­ra davanti ai cittadini”. Credibilit­à a cui continua a contribuir­e nei vertici notturni all’hotel Champagne con i due Luca, il togato-indagato del Csm Palamara e il deputato-imputato Lotti, per scegliere i procurator­i di Roma, Perugia e Firenze più graditi al Giglio Magico nella triplice veste di politico, giudice e faccendier­e. Che l’innominabi­le se lo tenga stretto, si capisce: con tutti i guai che ha in famiglia, può sempre servire. Ma il Csm che aspetta a radiarlo dalla magistratu­ra? Il Geco, con quella faccia, è capace pure di tornarci.

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