Calciopoli, la P3 e le nomine: le “porte girevoli” di Cosimino
Chi lo frequenta giura che è tranquillissimo. E che non ha certo perso il sonno da quando è venuto fuori che fu proprio lui a portare al cospetto di Silvio Berlusconi il giudice Amedeo Franco, desideroso di cospargersi il capo di cenere per la condanna che aveva collaborato ad infliggere al Cav: Cosimo Maria Ferri è del resto famoso per la sua abilità di passare tra una goccia d’acqua e l’altra restando sempre asciutto e indenne alle intemperie. Sebbene si sia spinto molte volte ben oltre il limite dei 110 all’ora cari a suo padre Enrico: Calciopoli, inchiesta P3, Trani-gate, Caso Saguto lo hanno sfiorato senza mai coinvolgerlo né comprometterne la carriera. Anzi le carriere. In politica e in magistratura dove ha bruciato le tappe riuscendo ad entrare giovanissimo al Csm e poi ad espugnare l’associazione nazionale magistrati con un pienone di voti mai visti assicurati grazie alla creatura di famiglia, Magistratura Indipendente, di cui è dominus incontrastato proprio come lo era stato suo padre. Che poi si era buttato nell’agone politico percorrendolo spericolatamente al Psdi a Forza Italia fino a Mastella. Sempre facendo base a Pontremoli (Massa), il feudo di famiglia dove i Ferri sono l’alfa e l’omega, nonostante gli inciampi.
DA UN ANNO e più Cosimo, oggi deputato renziano, è finito nel tritacarne per l’affaire Palamara, mentre suo fratello Filippo è uno dei poliziotti condannati per il G8 di Genova. Dismessa la divisa non è certo rimasto a piedi: ha trovato lavoro nel 2012 alla corte di Berlusconi, come capo della sicurezza del Milan. Il terzo fratello Jacopo fa invece politica con alterne fortune: trombato alle Europee è riuscito a farsi eleggere a Pontremoli nonostante una condanna per tentato peculato. Va detto che a Cosimo invece piace giocare da sempre in serie
A, anche se il calcio ha rischiato di costargli caro. Nel 2006 si dimise dall’incarico in Figc per evitare il processo sportivo che rischiava di subire per via degli uffici che lo avevano fatto ben volere al patron della Lazio, Claudio Lotito.
Ma questo non gli ha precluso l’elezione al Csm dove si è dato da fare anche per faccende collaterali: tra una pratica e l’altra a Palazzo dei Marescialli, aveva anche trovato il tempo per fare da consigliere a Giancarlo Innocenzi, commissario berlusconiano dell’agcom che brigava per imbavagliare Michele Santoro che si ostinava a “processare” ad Annozero il Cav. Ma non è tutto: nel 2010 il suo nome venne fuori anche nelle telefonate di Pasqualino Lombardi, giudice tributarista coinvolto nell’inchiesta P3 poi deceduto, interessato alle nomine in alcuni uffici giudiziari
L’ENFANT PRODIGE SPREGIUDICATO, SFIORATO DA MILLE INDAGINI
strategici, come quella di Alfonso Marra per la Corte di Appello dimilano, a cui Ferri ben volentieri aveva accordato il suo appoggio.
Ma il telefono di Cosimo Ferri è restato rovente pure dopo aver lasciato il Csm: nel 2015 Silvana Saguto era riuscita ad incontrarlo certa di poter contare sul suo appoggio quando era già sottosegretario alla giustizia e nonostante il clamore delle polemiche per la gestione da parte della magistrato dei beni confiscati alla mafia.
L’ANNO PRIMA
c’erano stati i messaggini per sponsorizzare i “suoi” candidati al Csm. Sulle prime si era pensato che Matteo Renzi potesse addirittura chiedergli le dimissioni, ma poi non successe un bel nulla. Anzi. Pochi mesi più tardi tutto era talmente dimenticato che Andrea Orlando, ora numero due del Pd, e allora ministro della Giustizia, lo aveva addirittura encomiato: in 14 pagine fitte di lodi che erano valse al suo sottosegretario uno scatto di carriera da magistrato ancorché da tempo fuori ruolo. Per l’eccezionale ed instancabile energia lavorativa, l’assoluta affidabilità, l’empatia. “Il dottor Ferri – aveva scritto Orlando – risulta oggi portatore di una ragguardevole e completa esperienza, maturata tanto in ambito giudiziario quanto in ambito ministeriale, in uno scambio osmotico e virtuoso a tutto beneficio delle istituzioni”. La stessa capacità osmotica su cui conta per cavarsela ancora quando la Camera deciderà se autorizzare l’uso delle intercettazioni che lo chiamano in causa per il Palamara Gate.