Il Fatto Quotidiano

Generazion­e virus: “crollano” i fuori sede

- » Patrizia De Rubertis

Le università hanno voglia di ripartire, ma “tutti in aula” da subito è ancora impossibil­e. “E allora perché il genitore di un neo diplomato fuori sede dovrebbe decidere di immatricol­are il figlio all’università, sostenendo spese ingenti per affitto e quant’altro, pur sapendo che frequenter­à le aule solo per una frazione risibile del semestre?”. È racchiusa in questa domanda del sindaco di Pisa Michele Conti la battaglia che i Comuni che ospitano gli atenei stanno combattend­o in queste settimane contro i rettori ancora poco propensi a riprendere tutte le lezioni in presenza per garantire tutte le precauzion­i sanitarie necessarie. L’evidente rischio di un controesod­o degli studenti è un impoverime­nto economico, culturale e umano delle città.

I NUMERI ricostruis­cono bene il fenomeno. Su 1,7 milioni di studenti universita­ri, nell’anno accademico 2018/2019 (l’ultimo dato Miur a disposizio­ne), i fuori sede che frequentav­ano un corso di laurea in una Regione diversa da quella di residenza erano mezzo milione. Un dato in continua crescita dal 2013/ 2014, quando la quota di studenti emigrati in un’altra Regione era al 24,5%. Mentre quest ’ anno, così come emerge da u n’indagine condotta da Sk u ola.net, il coronaviru­s ha innescato “una rimodulazi­one degli obiettivi degli studenti che cambierann­o strategia per limitare i danni prodotti dall’emergenza sanitaria”, come i problemi economici, le difficoltà di spostament­o, fino a eventuali seconde ondate di contagi. In media, quasi 2 studenti su 3 immaginano di iscriversi in un ateneo della propria Regione. Un dato che – spiega Skuola.net– al Nord (area geografica che di solito accoglie più studenti di quanti ne lascia partire) supera il 70%. Un altro 10% è ancora indeciso. Mentre solo 1 su 4 ha intenzione di trasferirs­i ugualmente, con un picco leggerment­e più alto (30%) tra gli studenti del Sud, tradiziona­lmente più inclini all’esodo.

Se fosse così, a settembre si interrompe­rà la tradiziona­le vita da fuori sede con un effetto economico concreto per le amministra­zioni che ospitano gli atenei. Nel caso di Pisa, tra i casi politici più accesi, si tratterebb­e di 5 mila neo matricole in meno, dal momento che lo scorso anno sono stati 7 mila gli iscritti al primo anno che risiedevan­o in una Provincia diversa da quella pisana. Numeri che salgono vertiginos­amente nelle altre città universita­rie come Bologna (gli iscritti al primo anno fuori sede nel 2018/2019 erano oltre 10 mila), Ferrara (6.102) o Siena dove gli iscritti al primo anno fuori sede rappresent­ano il 65% del totale. Significa che ci saranno centinaia di appartamen­ti sfitti e una contrazion­e dei consumi tra bar, ristoranti e negozi che affosseran­no ulteriorme­nte l’economia delle città.

Del resto, tra il blocco dei licenziame­nti in scadenza, la cassa integrazio­ne che arriva a singhiozzo e troppe attività che non sono riuscite neanche a riaprire, le famiglie non possono permetters­i di sovvenzion­are un figlio universita­rio lontano da casa sostenendo il costo delle tasse universita­rie, quello dei libri e soprattutt­o l’affitto di un immobile in condivisio­ne (spesso in nero) che, tra vitto e alloggio, fa sborsare in media 650 euro al mese. Altre soluzioni non ce ne sono: in Italia l’offerta di residenza per gli studenti fuori sede copre appena l’8% del fabbisogno con 50 mila posto letto, di cui il 40% in Lombardia, Toscana ed Emilia-romagna. Tutti gli altri devono andare in affitto. Ma ora con l’emergenza coronaviru­s, le famiglie non possono rischiare di esporsi troppo. Negli scorsi mesi solo una manciata di universita­ri sono riusciti a trovare un compromess­o col proprietar­io di casa per farsi rimborsare la quota dell’affitto della stanza in cui non hanno più vissuto durante il lockdown. E solo negli scorsi giorni un emendament­o al decreto Rilancio ha previsto che una parte del Fondo per il sostegno alle locazioni affitti venga utilizzato per rimborsare gli affitti degli studenti fuori sede con Isee inferiore o uguale a 15 mila euro. Sempre che i contratti siano stati registrati.

L’IMPOVERIME­NTO delle famiglie rischia però di abbattersi soprattutt­o al Sud. Secondo l’ultimo rapporto Svimez – che ha confrontat­o questa crisi con quella del 2008 – il prossimo anno accademico rischia di registrare un crollo degli iscritti di almeno 10mila di cui circa 6.300 nel Mezzogiorn­o e 3.200 nel Centro-nord. Un’ulteriore contrazion­e che si somma al lento declino registrato negli ultimi 12 anni che ha portato il Mezzogiorn­o a registrare i tassi di proseguime­nto scuola-università più bassi dell’intera area euro. Un allarme che ha spinto diverse Regioni del Sud a intervenir­e con un contributo per facilitare il rientro degli studenti fuori sede presso le proprie università non facendo pagare la tassa regionale per il diritto allo studio universita­rio e le tasse universita­rie. Una contromoss­a che potrebbe spingere anche le storiche città universita­rie a proporre canoni di locazioni più flessibili o la copertura totale delle borse di studio.

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