Il Fatto Quotidiano

Che scemi, io e Nanni Moretti sulla sua Vespa

Dal “Sud” alla dolce Roma

- ▶ MOLICA FRANCO

“Si è sempre il Sud di qualcun altro”. Quanto ha ragione Mario Fortunato che proprio al meridione dedica il suo luminoso romanzo: S ud ( B omp ia ni ). Non aspettiamo­ci però un d’a

près dei libri di Corrado Alvaro, poiché attraverso il racconto di una famiglia borghese in Calabria dagli albori del fascismo fino agli Anni 70, Fortunato affronta un’impervia discesa nelle viscere dell’appartenen­za al Sud come a una categoria dello spirito. “Ho incubato questo libro per 30 anni e poi, a seguito di un viaggio in India, è sbocciato rapidament­e”, prosegue l’autore. “Lì, mi aveva colpito la presenza del mito nella vita di ogni giorno, come ai tempi della Grecia classica. Ecco, per me appartener­e al Sud risale alla cultura magno-greca. Così, ho immaginato un meridione un po’ magico, depurato dalle retoriche straccioni­stiche e sociologic­he della vulgata e ho rimodellat­o la storia della mia famiglia in una vicenda in cui il mito è ancora molto vicino alle persone. Inseguendo un’idea di vita pre o post cattolica, non punitiva ma sorridente”. Ciò in cui riesce Fortunato, con un vero colpo da maestro, è sospendere ed eliminare la nostalgia per il passato, lasciando spazio solo alla gioia. Un po’ commedia e un po’ tragedia, Sud è una storia umanissima del meridione, con dentro molta politica.

Potremmo definire il suo un romanzo politico?

Volevo ragionare sulla Storia d’italia dentro a quel calderone che è il 900, che sembra l’inconscio del secolo che stiamo vivendo: pieno di pulsioni cancellate, sogni sepolti, fantasie rimosse. Ecco, volevo far precipitar­e il 900 italiano in una saga famigliare, fitta di storie e personaggi tragici e insieme comici come la vita. Una specie di Cent’anni di so

litudine con al centro la questione meridional­e, vale a dire uno dei nodi più dolorosi e irrisolti del secolo scorso, oggi dimenticat­o. Volevo inserirmi nella tradizione romanzesca italiana più feconda, quella del racconto civile damanzo

ni ad Arbasino.

Che fine ha fatto quella figura civile dell ’ intelle ttuale impegnato?

A un certo punto si sono sputtanati. L’impegno si è rivolto soprattutt­o alle proprie carriere. Contempora­neamente, tanto per lavarsi le coscienze, si firmavano appelli in difesa o contro qualsiasi cosa. Sempre perlopiù chiusi nel proprio salottino, sempre a fare la predica agli altri. Con esiti catastrofi­ci. Prendete oggi Massimo Cacciari: è un uomo di grandissim­a intelligen­za, un filosofo di prim’ordine. Ogni giorno ci dice da giornali e tivù che cosa c’è di sbagliato in Italia. La domanda, però, sorge spontanea: Cacciari è stato sindaco di Venezia, deputato credo per più di una legislatur­a: dove cavolo era quando le cose venivano fatte male e pensate peggio? È solo un esempio ma può far capire le ragioni dello sputtaname­nto.

I protagonis­ti del suo romanzo crescono in Calabria come sapendo di doversene andare. È il destino di chi nasce al Sud?

Solo in parte, perché le radici sono sempre sorprenden­ti. È vero che si va via per necessità o per scoprire il mondo, ma si finisce in una maniera o nell’altra col tornare alle origini: lì c’è qualcosa che ci riguarda nel profondo, che ha a che fare con il nostro stare al mondo, il rapporto con la vita e la morte.

Anche lei, come in particolar­e Valentino (uno dei personaggi di Sud), è andato via dalla Calabria.

Quando sono arrivato a Roma, era una città mortificat­a dagli anni di piombo. Poco dopo essermi trasferito, ci fu il rapimento Moro. Un clima terribile. Poi per fortuna arrivarono quegli anni scemi, corrotti e liberatori che furono gli 80. E conobbi Tondelli. Eravamo ragazzi, ci siamo divertiti parecchio. Pier è stato il mio amico del cuore. Quando andavamo in giro, di giorno come pure la sera per locali, era timidissim­o, per trasformar­si poi nel privato: sapeva essere molto spiritoso e tagliente. Avevamo un nostro linguaggio fatto di doppi sensi, allusioni. Ricordo che a tutti quelli che incontrava­mo, amici in giro o i colleghi del mondo letterario, appioppava­mo nomignoli piuttosto cattivi. C’era un lato primario nella nostra amicizia: eravamo uno il doppio dell’altro.

E andava in Vespa con Moretti?

Nanni l’ho conosciuto negli Anni 90. Abbiamo avuto un rapporto simbiotico, tanto che la sua compagna diceva per scherzarci su che eravamo fidanzati. Ricordo molti pomeriggi in giro a mangiare gelati nei posti più stravagant­i. E poi abbiamo davvero girato tutta Roma in Vespa. Ho vissuto molto da vicino alcuni suoi film. Basti pensare che, durante le riprese di uno dei suoi primi film, poiché giravano dietro casa mia, la pausa pranzo la passavamo insieme da me con tutta la troupe. Ricordo che in Aprile dovevo interpreta­re un giornalist­a dell ’ Espresso pentito, che di spalle doveva dire che si vergognava del suo lavoro. Alla fine, decisi di non farlo.

Perché?

( Ride) Io a quell’epoca lavoravo davvero all’espresso e temevo mi avrebbero licenziato.

Gli autori impegnati si sono sputtanati firmando appelli in salotto

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FOTO CLAUDIA PEILL/AGF Origini Qui sopra Mario Fortunato. In alto Nanni Moretti

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