Il Fatto Quotidiano

Renzi e il maggiorita­rio

- • Monaco

Ci avrei scommesso: alle solite, Renzi si rimangia l’impegno sottoscrit­to sulla legge elettorale che fu tra i capisaldi dell’accordo dal quale sortì il Conte 2. Cioè il governo da lui patrocinat­o con un

coup de théâtre, per poi tenerlo in sacco sin dal primo giorno.

COME SORPRENDER­SI?

C on osciamo l’uomo: inaffidabi­le, spregiudic­ato, capace di tutto. Trattasi di un copione prevedibil­e. Ma ciò che più infastidis­ce è l’ipocrisia, la sua offesa alla nostra intelligen­za. Lui si racconta come l’uomo del maggiorita­rio, quello del sindaco d’italia, quello che vuole conoscere il vincitore la sera stessa delle elezioni. Potremmo persino comprender­e se, in un raro soprassalt­o di onestà, dicesse apertament­e che si è rimangiato la parola data per la più evidente delle ragioni: la soglia del 5 per cento è inarrivabi­le per la sua Italia Viva e lui vuole assicurare al suo partitino personale una stentata sopravvive­nza.

Del resto, chi mai lo avrebbe seguito e tuttora lo seguirebbe, nella pattuglia di transfughi sottratta agli altri partiti, se non facesse intraveder­e loro una sopravvive­nza politica? Neppure osiamo pretendere che riconosces­se due palesi corollari della sua giravolta: la garanzia che, senza una legge elettorale raccordata con il taglio dei parlamenta­ri, non si precipiti verso elezioni per lui letali; e un regalo fatto a Salvini notoriamen­te contro-interessat­o a cambiare la legge elettorale. Ma almeno ci risparmias­se la risibile favola della sua coerenza con la democrazia maggiorita­ria.

Anche io sarei per il maggiorita­rio, ma sono ben consapevol­e che la bontà o meno delle leggi elettorali si misura e si decide in relazione al contesto politico cui esse sono destinate ad applicarsi. Altro era il tempo dell’ulivo, iscritto nel quadro di una democrazia maggiorita­ria e di un incipiente bipolarism­o. Renzi, strumental­mente, evoca Prodi e Veltroni, per cultura schierati per soluzioni maggiorita­rie. Ma quella stagione è alle nostre spalle. Anche grazie a lui. A produrla non fu solo una regola elettorale maggiorita­ria ( per tre quarti, il Mattarellu­m), ma anche e soprattutt­o la politica e i suoi attori a sinistra, dotati di una visione. A fronte di Berlusconi, con la sua forza aggregante il campo della destra, vi fu chi si impegnò a organizzar­e unitariame­nte il centrosini­stra, a non rassegnars­i al destino di un’eterna sconfitta. Gli si diede il nome e il simbolo dell’ulivo: un progetto politico di respiro, pensato dai Prodi e dagli Andreatta, imperniato su tre elementi: 1) la convinzion­e che anche l’italia, il Paese della democrazia incompiuta, finalmente, avesse il diritto di sperimenta­re la fisiologic­a alternanza caratteris­tica di tutte le democrazie sane e mature; 2) che, a questo fine, si dovesse semplifica­re il frammentat­o campo del centrosini­stra non forzando verso il “partito unico” i ncongruo per la nostra storia, ma, questo sì, favorendo il coagulo di alleanze imperniate su un major party, un grande partito a vocazione coaliziona­le; 3) la consapevol­ezza che un’i mpresa di tale portata esigesse una leader

ship non divisiva e altresì consapevol­e che le culture politiche non possono essere... rottamate.

Bene. Renzi ha dato un decisivo contributo ad affossare tutti quegli elementi: prima con la velleità del partito della nazione, che è l’opposto del bipolarism­o e della democrazia competitiv­a; poi con un esercizio della leadership personalis­tico e sommamente divisivo (il rovescio di Prodi); a seguire portando il partito da lui guidato a una misura (il 18 per cento) che ne compromett­eva la vocazione maggiorita­ria; infine applicando­si a ferire a morte quello che fu il suo partito – il solo che poteva aspirare al ruolo di major party nel centrosini­stra – e facendosi un partitino tutto suo che sta un po’ di qua e un po’ di là.

UNA VISIONE, SI DICEVA:

nel caso di Renzi, la visione di se stesso. Come non bastasse, ora si applica a far perdere quel fronte nelle prossime Regionali. Cioè l’esatto opposto di quel progetto, del quale almeno due elementi, tra loro connessi, erano chiarissim­i: partiti grandi e non microparti­ti personali e alleanze politiche strategich­e quali fattori di stabilità di governi che si vorrebbero di legislatur­a. Oggi Renzi, con i suoi distinguo strumental­i, ogni santo giorno mette in fibrillazi­one la maggioranz­a. Non si potrebbe dire meglio di Calenda: Renzi è un Mastella che si atteggia a Obama. Come può darci a credere che lui è per una legge elettorale maggiorita­ria per nobili ragioni di principio? Ma davvero ci prende per fessi?

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