Tra Letta, Renzi e Napolitano il Cav restò Cav
La pratica nel cassetto Non arrivò al Quirinale Bastò un escamotage per non diventare “ex”
Silvio Berlusconi è ancora Cavaliere del Lavoro. Di più, non ha mai smesso di esserlo. Nonostante la sua decadenza da senatore arrivata con il voto di Palazzo Madama, il 27 novembre 2013, dopo la sentenza di condanna della Corte di Cassazione del primo agosto dello stesso anno.
LA VICENDASI interseca con 5 anni di storia politica di questo Paese, tre governi (Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni), la presidenza di Giorgionapolitano e tangenzialmente anche quella di Sergio Mattarella. A svelarla è Giuseppe Salvaggiulo nel suo libro “Io sono il potere. Confessioni di un capo di gabinetto” (Feltrinelli). È infatti proprio un anonimo capo di gabinetto a raccontare che la procedura di revoca dell’onorificenza a Berlusconi fu avviata dal Ministero dello Sviluppo Economico, ma che nessuno dei titolari che si sono avvicendati negli anni la firmò mai.
LA REVOCA dell’onorificenza di Cavaliere del lavoro è disciplinata dall’articolo 13 della legge 15 maggio 1986, n. 194. Si dispone che “previo parere” del consiglio dell’ordine, su proposta del ministro dell’industria del commercio e dell’artigianato (che ora è il ministro dello Sviluppo economico), dunque, la revoca è disposta con decreto del presidente della Repubblica. Quello di Berlusconi era tra i casi di “indegnità” previsti dal Codice etico della Federazione, che, infatti, segnalò il caso. Ma nulla accadde. Nonostante il precedente di Cosimo Tanzi, alla quale, l’onorificenza era stata revocata.
Nel 2013 il titolare dello Sviluppo economico (Mise) era Flavio Zanonato per il governo Letta. “Ce ne occupammo. Ricordo che affrontammo la questione, ma non come andò a finire”, dice oggi al Fatto . Sostiene (sempre parlando con il Fatto ) di non ricordare proprio nulla Federica Guidi, che a lui successe con Renzi (in quota Berlusconi). Entrambi rimandano ai loro capi di gabinetto dell’epoca, che erano rispettivamente, Goffredo Zaccardi (oggi capo di gabinetto di Roberto Speranza) e Vito Cozzoli (rimasto al Mise fino a pochi mesi fa, con Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli). Ma a questione non era amministrativa, bensì politica. Tanto è vero che l’incar tamento rimase in un cassetto.
UN ALTRO
tassello della storia viene fornito dai ricordi di chi - all’epoca - lavorava al Quirinale. Giorgio Napolitano non firmò mai il decreto di decadenza (che comunque in ultima istanza toccava a lui) non solo perché non arrivò mai la richiesta da parte del Mise, ma anche perché gli avvocati di Berlusconi trovarono un escamotage. Ovvero la richiesta dell’interessato di essere sospeso dalla Federazione dei Cavalieri del Lavoro. Si legge in un documento della Federazione del 19 marzo 2014: “Oggi si è tenuto il Consiglio direttivo della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro che ha concluso l’esame della posizione di Silvio Berlusconi (...)Nelle fasi conclusive di questa procedura, alla vigilia della riunione odierna, è pervenuta una lettera di autosospensione di Silvio Berlusconi, dalla Federazione stessa, pur avendo egli fatto ricorso alla Corte di Giustizia europea nonché avendo in corso di presentazione una istanza di revisione del processo che lo ha riguardato”. E così, “il Consiglio Direttivo ha preso atto dell’a uto so spe nsi one ”. A quel punto la pratica si ferma.
Carlo Calenda, arrivato al Mise dopo la Guidi, sostiene di non aver mai saputo nulla di questa storia. Ma in realtà, c’è un’altra aporia nella vicenda: Berlusconi si autosospese dalla Federazione (ovvero dall’associazione dei Cavalieri del lavoro), ma non dall’ordine, perché per l’onorificenza la sospensione non è prevista. Nessuno agli alti piani della politica aveva intenzione di infierire ulteriormente sul Caimano. Tanto più su una cosa minore, alla quale lui teneva molto, ma che non era poi così significativa. A chiudere definitivamente la storia interviene nel 2018 la riabilitazione di B. da parte del Tribunale di sorveglianza di Milano. Nel frattempo, dal sito del Quirinale non è mai sparito il suo nome come Cavaliere del lavoro.