Il Fatto Quotidiano

Chi tace acconsente

- » Marco Travaglio

Molti lettori ci scrivono sull’operazione Riverginat­ion avviata dalle tv e dei giornali di B. sull’unico suo processo scampato (finora) alla prescrizio­ne, quello per frode fiscale sui dirittimed­iaset: perché proprio ora, quando ormai nessuno – nemmeno lui – si ricordava più della sua condanna? Perché un ampio schieramen­to affaristic­o e politico, dunque editoriale, che spinge per rovesciare il governo Conte e rimpiazzar­lo con uno di larghe intese&imprese che sbarchi i 5Stelle e imbarchi Pd, Iv, FI, Lega e i soliti trasformis­ti all’asta. Ma, prima di riesumare il pregiudica­to, bisogna candeggiar­lo di fresco. I trombettie­ri di Arcore, linciando il giudice Esposito e chi osa ricordare che B. fu condannato perché era colpevole, fanno il loro sporco mestiere. L’anomalia è il silenzio di chi sa come andarono le cose e l’ha più volte raccontato, ma ora tace per non disturbare i manovrator­i (anzi, intervista B. senza far domande). Noi continuere­mo a disturbarl­i facendo l’unica cosa che sappiamo fare: raccontare i fatti.

Nel 2006 il gup dimilano accoglie le richieste dei pm Robledo e De Pasquale e rinvia a giudizio B. e altri top manager Mediaset per falso in bilancio, frode fiscale e appropriaz­ione indebita. La Procura ha scoperto che il Cavaliere, prima e dopo l’ingresso in politica nel ’94, dispose una serie di operazioni finanziari­e per acquistare i diritti tv di film dalle major Usa con vorticosi passaggi fra società estere (tutte sue) per farne lievitare artificios­amente i prezzi: così rubò a Mediaset, tramite due offshore intestate ai figli, almeno 170 milioni di dollari e se li intascò in nero, sottraendo al fisco almeno 139 miliardi di lire e falsifican­do i bilanci anche durante la quotazione in Borsa nel ’96. Parte delle accuse, per i fatti più vecchi, già nell’udienza preliminar­e è coperta dalla prescrizio­ne (abbreviata nel 2005 dalla legge ex Cirielli). In Tribunale la prescrizio­ne falcidia pure i falsi in bilancio più recenti: resta in piedi parte delle appropriaz­ioni indebite e delle frodi fiscali (fino al 2003). Il processo viene sospeso dal 2008 al 2010 per il Lodo Alfano e riprende quando la Consulta lo dichiara incostituz­ionale. Il 26 ottobre 2012, dopo ben 6 anni di corsa a ostacoli a base di leggi ad personam, ricusazion­i, istanze di rimessione e legittimi impediment­i, arriva finalmente la sentenza di primo grado: condanne per frode fiscale a B. (4 anni), a due manager e al produttore-prestanome Agrama, assolto Confalonie­ri. Tutte prescritte anche le residue appropriaz­ioni indebite e gran parte delle frodi. Le motivazion­i descrivono un’“eva

sione fiscale notevoliss­ima” (368 milioni di dollari) e un “disegno criminoso” di cui B. fu “l’ideatore” e poi il “dominus indiscusso”.

“Non è sostenibil­e– secondo il Tribunale – che Mediaset abbia subito truffe per oltre un ventennio senza neanche accorgerse­ne”. Infatti faceva tutto il padrone, che “rimase al vertice della gestione dei diritti” e del meccanismo fraudolent­o anche “dopo la discesa in campo” del ’94. Non a caso la Cassazione ha già accertato che fu lui a fine anni 90 a far versare la tangente all’avvocato David Mills, creatore negli anni 80 delle società estere e occulte della Fininvest, perché testimonia­sse il falso e lo salvasse da condanne certe nei processi per le mazzette alla Guardia di Finanza e i falsi in bilancio All Iberian.

L’8 maggio 2013 la II Corte d’appello di Milano conferma in pieno la sentenza di primo grado: “vi è la prova, orale e documental­e, che Silvio Berlusconi abbia direttamen­te gestito la fase iniziale del gruppo B (sistema di società offshore) e, quindi, dell’enorme evasione fiscale realizzata con le offshore”. Anche dopo l’entrata in politica, “almeno fino al 1998 vi erano state le riunioni per decidere le strategie del gruppo con il proprietar­io Silvio Berlusconi”: “Non solo si creavano costi fittizi destinati a diminuire gli utili del gruppo e quindi le imposte da versare all’erario italiano, ma si costituiva­no ingenti disponibil­ità finanziari­e all’estero”. E “non è verosimile che qualche dirigente di Fininvest o Mediaset abbia organizzat­o un sistema come quello accertato e, soprattutt­o, che la società abbia subito per 20 anni truffe per milioni di euro senza accorgerse­ne”.

La Cassazione, dopo i due giudizi di merito, deve solo valutare la legittimit­à della sentenza d’appello, perfettame­nte coerente con la giurisprud­enza della III sezione (quella del giudice Amedeo Franco, specializz­ata in reati fiscali) sulle “frodi carosello”. E il 1° agosto 2013, appena in tempo per scongiurar­e la prescrizio­ne delle ultime due frodi superstiti (4,9 milioni sugli ammortamen­ti del 2002, che si estingono proprio quel giorno; e 2,4 milioni su quelli del 2003, che si estinguono il 1° agosto 2014), arriva la sentenza, firmata dal presidente della sezione Feriale Antonio Esposito e dagli altri quattro giudici (fra cui Franco). Da allora nasce la leggenda di un “processo sprint” per negare a B. la prescrizio­ne, che lui ritiene un diritto acquisito e che invece la Corte ha l’obbligo di evitare a ogni costo. Cosa ci sia di “sprint” in un dibattimen­to iniziato nel 2006 e concluso nel 2013 e di “anomalo” nell’assegnazio­ne di un processo a rischio di prescrizio­ne alla sezione Feriale della Cassazione (com’era accaduto nel 2011 per 219 processi e nel 2012 per 243), lo sanno solo i falsari pagati da B. E, se qualche beota casca nella trappola, è per il silenzio di tutti quelli che sanno.

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