Con Molinari, Folli e Giannino, la Voce Repubblicana risorge a Repubblica
Era il 1986 e la Repubblica festeggiava l’ambitissimo traguardo del sorpasso sul Corriere della Sera, a dieci anni esatti dalla fondazione del quotidiano scalfariano: 515 mila contro 487 mila. Cifre mostruose, di un’altra epoca. Quando in Italia i giornali vendevano sette milioni di copie al giorno (oggi sono meno di due). E trentaquattro anni fa, nel nostro Paese, esistevano ancora gli organi di partito. Come la Voce Repubblicana che, sempre nel 1986, aveva una diffusione di 15 mila copie, quanto l’umanità del Psdi di Pietro Longo e Franco Nicolazzi e mezzo milione in meno di Repubblica.
La Voce era il quotidiano del Pri, il partito dell’edera e del Risorgimento ma anche della massoneria, dell’atlantismo e del sionismo. Fino al 1987 ebbe come direttore responsabile Stefano Folli, che oggi di Repubblica è il centravanti di sfondamento anti-contiano, ripreso puntualmente da Dagospia come una sorta di Sibilla Cumana. Folli era il pupillo di Giovannone Spadolini, monarca repubblicano di quell’epoca e che per il suo ego larghissimo venne soprannominato “vice-dio”. Ed era spadoliniana la fucina di talenti che la Voce allevò sotto la sorveglianza folliana. Come un giovanissimo Maurizio Molinari e un Oscar Giannino dalla folta chioma nera e riccia. Un tridente che oggi si ritrova insieme ai piani più alti del quotidiano fondato da Scalfari. Giannino già collabora con Radio Capital e lunedì scorso ha esordito da commentatore su Affari e finanza, l’inserto economico del giornale. Da Giannini a Giannino, cambiando una vocale. E così Repubblica comincia a trasfigurarsi nella Voce di allora, anche per le copie perse nella nuova era di Elkann. Chi l’avrebbe mai detto a quei tre, che negli anni ’ 80 sul quotidiano scalfariano vedevano l’amato Spadolini disegnato da Forattini, nudo e con il pisello piccolo. Un caso di sessismo al contrario e che oggi non la passerebbe liscia. Soprattutto a Repubblica.