Lerner Da S. Sofia a Gerusalemme
Ascherzare con la storia ci si brucia, come ha spiegato benissimo ieri su queste pagine Filippomaria Pontani a proposito di Santa Sofia, la cattedrale cristiana edificata mille anni prima di San Pietro, riconsacrata moschea per alimentare i sogni di grandezza del nuovo sultano Erdogan.
Bisanzio divenuta Costantinopoli divenuta Istanbul resta da sempre la più importante metropoli del Mediterraneo. E per quanto lo si voglia disconoscere, continuerà a legare in un destino comune Europa e Asia. Il passo indietro della storia con cui si revoca la secolarizzazione di quel luogo sacro trasformato in museo nel 1934 dal laico Atatürk, decreta probabilmente “la fine della Turchia come nazione laica”. Parole amare pronunciate ieri dal premio Nobel Orhan Pamuk. Tanto più che Erdogan, nel mentre in inglese rassicurava che le porte di Ayasofya resteranno aperte a tutti, nel messaggio diffuso in lingua araba usava ben altro tono: “Questo è un passo verso la liberazione di al Aqsa”, ovvero la grande moschea di Gerusalemme. Naturalmente gli è giunto subito il plauso di Hamas.
Come già rilevato da Pontani, l’iniziativa dell’aspirante sultano si presenta come risposta islamica a Trump che, nel dicembre 2017 annunciò lo spostamento dell’a m b as c i at a statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. Quando la diplomazia provoca la storia, determina ripercussioni imprevedibili. Le proteste internazionali cozzano con lo spirito di rivincita dei musulmani.
TROPPO LUNGA
è la memoria di questo conflitto. Corre fino al 1236, quando la reconquista cristiana della penisola iberica fu suggellata dalla trasformazione della Mezquita islamica di Cordoba in cattedrale dell’immacolata Concezione. Solo pochi anni prima, nel 1208, il doge veneziano Enrico Dandolo, alla testa della quarta crociata, aveva fatto sedere una prostituta sul trono dell’ imperatore bizantino, capo della Chiesa ortodossa. Uno sfregio che i cristiani d’oriente ripagarono nel 1453 preferendo a furor di popolo il turbante del sultano Maometto II alla tiara papale, allorché Santa Sofia fu trasformata in moschea.
Istanbul diventò per quasi cinque secoli la capitale indiscussa del mondo islamico, restando la Mecca solo un luogo di pellegrinaggio.
OGGI
che le lacerazioni dell’islam danno luogo a potenze regionali contrapposte, l’ideologia imperiale neo-ottomana torna a proporsi in contrapposizione alle petromonarchie wahabite del Golfo, all ’ortodossia sunnita di al Azhar al Cairo, al jihadismo dell’isis e all’ islam sciita di Teheran. Una destabilizzazione che insanguina da oltre un decennio il Medio Oriente, con epicentro nella martoriata Siria. Ma che ha ondate successive minaccia tutte le nazioni vicine, dalla sponda settentrionale del Mediterraneo alla Russia. E isola ancor di più lo Stato d’israele.
Non fu certo un caso se Erdogan, all’indomani dello spostamento a Gerusalemme dell ’ambasciata Usa, decise di espellere da Ankara l’ambasciatore israeliano, non prima di averlo sottoposto davanti alle telecamere a un’umiliante perquisizione.
Ora che la sua sfera di egemonia si allarga fino alla Libia di Serraj, l’italia e l’europa sono costrette a scendere a patti. Pagano, dapprima, la miopia con cui chiusero le porte in faccia a una Turchia ancora laica che trattava per l’ingresso nell’ue. E poi, dopo aver favorito i l risveglio dell ’ integralismo neo- ottomano, il cinismo degli accordi economici con cui hanno consegnato in mano a Erdogan la chiave dei flussi migratori.
UN’ALTRA OCCASIONE
ghiotta per gli irresponsabili fomentatori del conflitto di civiltà, populisti speculari al sultano, pronti a rispondere pan per focaccia rispolverando l’armamentario delle crociate e di Lepanto. Con la complicazione che la Turchia fa parte della Nato e la sua fuoriuscita farebbe saltare i sistemi di difesa occidentali, nel mentre Ankara non esita a fare il doppio gioco con Putin.
I duemila fanatici che dopo l’annuncio di Erdogan pregavano e sbraitavano contro i greci e i cristiani davanti a Santa Sofia (o Ayasofya che dir si voglia) per nostra fortuna non rappresentano l’insieme della società civile turca. Il processo di laicizzazione che aveva perfino introdotto l’alfabeto latino viene brutalmente stoppato, la libertà d’espressione conculcata, molti intellettuali e oppositori incarcerati. Ieri, solo il partito filocurdo ha osato esprimere la sua condanna al decreto del Consiglio di Stato di Ankara. Gli altri, anche a sinistra, tacciono intimiditi. Ma c’è ancora un’ “altra Turchia” sulla quale far leva, con saggezza, per scongiurare una frattura antistorica che sarebbe irreparabile.
Le lacerazioni dell’islam danno luogo a potenze contrapposte che destabilizzano il Medio Oriente