“Albertone segreto, Gassman fumatore, il sedere della Vitti”
Nicoletta Ercole Una delle grandi costumiste del cinema mondiale, membro dell’academy
La sua famiglia (allargata) appare come una fiction dedicata alla meglio gioventù del cinema italiano. E così quando Nicoletta Ercole parla, è quasi possibile chiudere gli occhi e immaginare Alberto Sordi mentre cammina con gli zoccoli sul lungomare di Castiglioncello, o Piero Piccioni che si siede a tavola dopo la scarcerazione (“sono stata il suo alibi”); Vittorio Gassman invocare delle sigarette (“Portamele! Diletta me le ha tolte”); Monica Vitti svelarle il segreto per il perfetto fondo schiena, Marcello Mastroianni vestito di timidezza, o Piero Tosi mentre racconta uno dei suoi film.
Lei non solo c’era, ma era ed è parte di quella istantanea, di quella pellicola ancora non conclusa e che da pochi giorni la celebra come nuovo membro dell’academy statunitense, in quanto acclamata costumista del cinema mondiale.
Da sempre vive in mezzo al cinema.
Sono stata molto fortunata: i miei genitori, e per diverse casualità, hanno incrociato quella realtà, e per me alcuni personaggi straordinari sono diventati come degli zii.
Il primo “parente”.
Piero Piccioni (compositore, autore di colonne sonore, e coinvolto nell’omicidio Montesi. Anni dopo scagionato): il mio battesimo divenne il suo alibi; oltre a lui sono cresciuta con Alberto Sordi, per anni nostro ospite nelle estati a Castiglioncello, poi Armando Trovajoli, Luis Bacalov, Paolo Panelli e Bice Valori; ( ci pensa) mamma era anche andata a scuola con Flora Mastroianni e Lina Wertmuller.
Ha vissuto la Castiglioncello de Il sorpasso.
Vivevamo lì da prima del film, e in parte quel capolavoro si è basato sulla nostra quotidianità; ( so rr ide ) ho un cammeo, e ogni volta che la televisione lo trasmette, mi chiama Marco Risi: “Oh, tra poco tocca a te”.
Quale cammeo?
Io e Flaminia Sanjust che corriamo sulla spiaggia e rompiamo le palle; alcune scene sono state girate a casa nostra e la sartoria allestita in salotto.
Il cinema in primissima fila.
Ho un ricordo indelebile: il primo cestino della mia vita. Avevo nove anni e mi ritrovai in mano del cibo in scatola. Basita. Lo guardavo come qualcosa di altamente esotico, tanto da scatenare una risata di Dino Risi: “Mangia, non ti spaventare”.
Intorno al cestino c’è una
liturgia consolidata.
Il soprannome di Sordi era “la forza del cestino”: appena arrivavano, mandava immediatamente la sua sarta, Mariuccia, ad affrontare la fila. Doveva essere la prima. E doveva prenderne tre.
Tre?
Uno per lei, uno lo consumava subito e il terzo lo teneva per la sera; ma non era tirchieria, solo un vezzo, una liturgia, un modo per spezzare la giornata quando magari sei in piedi dalle quattro e mezzo del mattino.
Sfacchinate.
I set sono così, assorbono tutto di te e senza orario; ribaltano ruoli, costruiscono realtà in teoria parallele, in realtà assolute: quando uno gira esiste solo il film, e l’ho capito presto.
In che senso?
Il mio matrimonio con Andrea Purgatori durò pochissimo perché non c’ero mai ( ride).
A cosa pensa?
Sempre al cestino: sia Marco Ferreri che Sergio Corbucci, appena arrivavano sul set domandavano cosa c ’era per pranzo. Torniamo a Piccioni: affrontava mai l’a rgome nto “Montesi”? Ma i toccato. Quando uscì dal carcere venne a casa nostra, e mio padre prima di accoglierlo radunò la famiglia per un discorsetto: “Mi raccomando, lo troverete sciupato e triste; voi fingete normalità e soprattutto alcun accenno alla vicenda. Dategli amore”.
E...
Dopo i primi dieci minuti di convenevoli, la tavola mise a dura prova i confini imposti da papà, e mia nonna diede sfogo alla sua schiettezza: “Allora Piero, la Montesi l’hai uccisa o no?”
Castiglioncello.
Alberto Sordi stava sempre da noi, dormiva nella mia cameretta e io traslocavo da mio fratello: spesso lo sentivamo cantare, il Ri gol et to era un classico del suo repertorio, o ci sedevamo in giardino e noi ragazzi gli chiedevamo del suo amore per la Mangano.
Amore sofferto.
Forse è stata l’unica donna della sua vita, la considerava stupenda, florida, “con quei
‘‘
Sono arrivata a Montecarlo quando
De Sica riuscì a sbancare il casinò
bei coscioni”; però quando la Mangano si è sposata con Dino De Lurentiis, cambiò la prospettiva: “Quel napoletano l’ha rovinata, non è più lei: è magra, smunta!”.
Da dove nasce la sua passione per i costumi?
Marcello Mastroianni aveva allestito in casa una piccola sala cinematografica, e a 14 o 15 anni, con Barbara Mastroianni, affittavamo le pizze di Via col vento o Il gattopar
do, e passavamo il sabato sera a studiare i vari abiti.
Il primo film.
Per le antiche scaledi Bolognini (1975): andai come volontaria e di nascosto da mio padre; ( ci pensa) non avevo la diaria, e allora ogni sera Marcello Mastroianni si preoccupava della mia cena.
Come mai suo padre contrario?
Desiderava una laurea, e poi conosceva, quindi temeva il mondo del cinema. È stato Mastroianni a garantire per me.
Mastroianni e le donne.
Tutte innamorate di lui, e non riusciva a difendersi, era un fragile, quindi cedeva alle loro richieste, con un però: non si è mai separato da Flora, e ogni 14 agosto mandava un mazzo di rose o si presentava per festeggiare con lei il loro anniversario di nozze.
Il costumista detiene un potere verso l’attore...
In questa chiave non ci avevo mai pensato; il problema è che in Italia gli attori spesso non lo sono veramente.
Cioè?
Nel 1976 ero a Los Angeles per un film con John Huston protagonista; al primo incontro lo stesso Huston mi chiese: “Come vedi il mio personaggio?”.
Risposta?
Scoppiai a piangere e ho solo detto: “Non sono in grado”. Ecco, in Italia un interrogativo del genere non lo pone nessuno, quasi sempre gli attori ti trattano di merda.
Con lei l’attore è “nudo”.
E torniamo alla differenza di prima: il vero artista è al servizio degli altri, della storia, del regista; eppure spesso si presentano e credono di poter imporre la loro visione, tipo: “Così non mi ci vestirei mai nella vita”.
Il set è una comunità?
Sì, e all’inizio ho sofferto molto.
Perché?
Mi legavo alla troupe, mi immergevo in quella realtà con una sincerità non necessaria; credevo realmente al per sem
pre, alle promesse di quelle settimane o mesi, e quando finiva il film mi sentivo persa.
E invece.
Durante il film nasce una famiglia, condividi la vita, la passione, gli amori, poi tutto muore con l’ultimo ciak. Dopo a momenti neanche ti saluti.
Ha spesso girato con Marco Ferreri.
Un genio. Con lui ho capito co s’è il cinema, con lui era fondamentale prevedere l’imprevedibile; ai miei assistenti raccomandavo: “Se ha una richiesta, non portate mai una sola soluzione, pensate anche all’opposto della vostra idea”.
Carismatico.
Mastroianni ne La grande abbuffata lo ha seguito in ogni
richiesta, “perché lui è come un capitano al comando della nave. E ti devi fidare”. Ferreri aveva la capacità di leggerti dentro, di toccarti nel profondo.
L’ha mai fatta piangere?
Una volta mi ha massacrata per un maglioncino rosa e stavo per scoppiare in lacrime; per fortuna ho resistito, altrimenti il nostro rapporto si sarebbe rovinato.
Chi le ha insegnato di più?
Quasi tutti, dallo stesso Ferreri, a Visconti, Hopkins, Gassman, o l’allegria sul set di Sergio Corbucci: non prendeva nulla sul serio; ( ci pensa) aggiungo la professionalità di Alberto Sordi e la precisione e le malizie di Monica Vitti.
Traduciamo.
Monica aveva le gambe più belle del mondo, un seno perfetto e soprattutto sapeva come vestirsi, portatrice sana di un gusto trasgressivo, talmente moderna da risultare alla moda anche oggi.
Quindi?
Il suo unico difetto era il fondoschiena, e allora mi aveva insegnato a piazzare delle piccole pence in alto, sul culo, e ne usciva fuori un sedere perfetto.
La professionalità di Sordi.
Non tirava mai via una scena, restava sul set fino a quando non considerava soddisfacente il risultato, e se un collega era in difficoltà, si avvicinava e lo consigliava.
Però non ci sono più i divi assoluti.
No, non ci sono più i produttori: gli attori nascono se ci sono gli imprenditori che gli permettono di crescere e di diventare grandi, come accaduto per Loren, Lollobrigida, Mangano o Magnani.
Tra i “grandi” non ha ancora nominato Vittorio De Sica. ( Ride) A Montecarlo sono arrivata dopo che aveva sbancato il casinò con Ljuba Rizzoli, e come da tradizione lo stesso casinò aveva srotolato il tappeto nero; comunque sono
cresciuta con Manuel e Christian De Sica; con Christian il sabato pomeriggio scappavamo al Piper; lo stesso con Marco Risi e i fratelli Vanzina
( resta in silenzio) Carlo mi manca tanto, persona meravigliosa.
Il Piper di Patty Pravo.
Uscivamo di casa vestiti normali, nelle buste le nostre ribellioni stilistiche indossate nei bagni del locale: una volta Christian acquistò a Porta Portese delle mantelle da carabinieri, e quelle diventarono il nostro outfit.
Con Christian De Sica ha lavorato.
Ha un talento eccezionale, è solo un po’ fregato dalla pigrizia, ma ha senso dello spettacolo, della regia, del ritmo e della musica. Come lui pochi altri.
Chi le manca?
La lista è lunghissima, ma ai nomi di prima aggiungo Vittorio Gassman: una settimana prima di morire mi chiama e con voce spezzata, urla: “Portami le sigarette! Diletta (la moglie) me le ha tolte, io divento pazzo”. Poi aggiunse delle parole incomprensibili.
Così...
È stata l’ultima volta che l’ho visto, e ancora non ci voglio credere.
Insomma, ora è membro dell’academy.
Da tempo Deborah Landis e Milena Canonero (entrambe celebri costumiste) mi parlavano come se già fossi membro, e ogni volta specificavo l’errore; poi all’improvviso mi hanno comunicato l’ingresso, e di notte ho trovato un messaggio di Favino ( anche lui neo eletto): “Te lo meriti”. Bellissimo.
Orgogliosa.
Tanto, ma siamo in Italia e un riconoscimento del genere porta qualche invidia o gelosia, e i produttori temono che il mio onorario sia moltiplicato. Ma non è così.
Chi è lei?
Una donna fortunata che ama molto il suo lavoro, più di prima e meno di domani. E vorrei continuare ancora per degli anni.
(Sosteneva Monica Vitti: “Le donne mi hanno sempre sorpreso. Le donne sono forti e hanno la speranza nel cuore e nell’avvenire”)