Trump salva Stone, anima nera dei Rep (da Nixon a Putin)
Il lobbista Dal Watergate alla pillola avvelenata di Wikileaks per Clinton: Trump lo salva dalla condanna del Russiagate
Dai tempi dei suoi esordi – e che esordi!, il Watergate, lo scandalo degli scandali della politica Usa –, porta ancora tatuata sulla schiena un’immagine di Richard Nixon. Non ne fa mistero; anzi, se ne vanta. Roger Stone, presto 68 anni, è stato consulente di tre generazioni di politici conservatori: dopo Nixon, ha lavorato per le campagne di Ronald Reagan, Jack Kemp, Bob Dole e molti altri (solo i Bush non si sono mai serviti dei suoi uffici); negli anni dispari, fa il lobbista. Amico di vecchia data di Donald Trump, fu a lui che il magnate telefonò quando decise di scendere in campo, nel 2015, fra ironie e diffidenze, per la nomination repubblicana alla Casa Bianca. E quando, l’altra sera, il presidente lo ha chiamato per dirgli che non sarebbe più andato in prigione, perché gli aveva commutato la pena, lui stava già festeggiando con amici comuni: i botti dei tappi di champagne che saltavano erano talmente forti che Stone ha dovuto cambiare stanza per parlare con Trump.
SEMPRE UN FILO ostentatamente più elegante di quanto non riterreste opportuno, la lobbia in testa d’inverno, le ghette ai piedi, il fazzolettino che fuoriesce dal taschino, il gessato (un po’ mafioso) per presentarsi in tribunale accompagnato dalla moglie più sobriamente vestita di lui, il sorriso dell’uomo che sa di avere fascino e che recita la parte di chi non ha nulla da nascondere, Stone è l’ultimo dei fedelissimi di Trump a profittare di un concorso di circostanze eccezionalmente favorevoli per evitare, o uscire, dal carcere. Causa coronavirus, ne sono usciti prima del previsto Paulmanafort, un sodale di Stone, manager della campagna diTrumpn el 2016, lobbista fedifrago e, per questo, processato e condannato, eMic ha el Cohen, avvocato paraninfo, l’uomo che comperava in nero il silenzio delle “conquiste” – una pornostar e una coniglietta – del magnate, non ancora presidente, ma già marito di Melania. E grazie a un inspiegabile “testa coda” della magistratura federale, Michael Flynn, ex generale ed ex consigliere per la Sicurezza nazionale, reo pluri-confesso di mene con i russi per favorire l’elezione di Trump e danneggiare Hillary Clinton, ha evitato processo e prigione.
STONE DOVEVA
entrare martedì prossimo, 14 luglio, in un carcere federale, per scontare una condanna a 40 mesi per ostruzione alla giustizia nel Russiagate: ha mentito al Congresso, corrotto testimoni e ostacolato l’indagine della Camera; lui non nega l’addebito, ma si fa un merito d’essere stato fedele all’amico Donald. Che lo ha ricambiato: prima d’una missione in Florida ad alto rischio coronavirus – la penisola è attualmente l’epicentro dei contagi –, Trump gli ha commutato la pena: non ne ha cancellato i reati, come avrebbe fatto la grazia, ma gli ha evitato la prigione, riaprendo le polemiche sull’uso dei poteri del presidente da parte del magnate a favore dei suoi sostenitori e collaboratori. Trump aveva sempre bollato come “ingiusta” la sentenza e “vergognoso lo spettacolo” l’arresto di Stone, avvenuto all'alba dinanzi alle telecamere della
Cnn. Dalwatergate al Russiagate, il percorso di Stone è eccezionalmente fitto di aneddoti e trappole: lui non è uomo di idee e tanto meno di ideali – del resto, non è mai stato candidato –, ma è ricchissimo di risorse, di conoscenze e di espedienti, da mettere al servizio dei candidati che gli s’affidano. Troppo giovane per essere una figura di primo piano del Watergate – aveva 16 anni quando faceva fotocopie per la campagna di Nixon nel 1968 e vent’anni quando aiutava a organizzare l’agenda della campagna nel 1972 – Stone compare lo stesso nelle cronache dello scandalo: era andato a dare da mangiare ai cani del suo boss, Bart Porter, uno dei manager della campagna, quando il telefono squillò. Uno degli “idraulici” del Watergate, appena arrestato, chiamava dalla guardina e aveva fretta di parlare con Porter. Stone trasmise il messaggio, ma, allora, non infranse nessuna legge. Negli anni Ottanta, Stone, Manafort e altri loro soci fondarono una società di lobby che, negli anni Novanta, era un punto di riferimento per aziende americane e referenti stranieri: fra i suoi clienti, Rupert Murdoch e la sua News Corp e il Tobacco Institute, ma anche lo Zaire dimobuto, i ribelli dell’unita dall’angola e le Filippine di Marcos. Stone si conquista alcuni dei soprannomi di cui va fiero, “parolaio cacciaballe”, “uno che gioca sporco”, “uno che sa camminare sul filo” tra lecito e illecito. Stone presentò Trump a Nixon e lo mandò a lezione di politica dall ’ ex presidente, con cui mantenne sempre un buon rapporto; suggerì, già nel 1988, al magnate di candidarsi alla presidenza; e nel 2016 – senza altro ruolo che quello di amico e consigliere – fu funzionale alla divulgazione, tramite Wikileaks, di mail sottratte al Partito democratico. La formula del suo successo, tra complottismi, intrighi, pettegolezzi, cinismi? “Molti segreti, nessun mistero”: è di suo conio. Ma non è detto che sia vera: con Stone, non sai mai dov’è il confine tra verità e invenzione.
Per Trump ci sono due tipi di giustizia: uno per gli amici criminali, l’altro per gli americani
Adam Schiff