Il Fatto Quotidiano

“Sono bilingui: lumbard ai tavoli che contano e compari coi compari”

I nuovi mafiosi I “giovani” delle cosche di Platì ora vivono in piccoli centri E sono più imprendito­ri

- DAV. MIL.

Da capo della Direzione distrettua­le antimafia di Milano, Alessandra Dolciha vissuto in diretta i mutamenti della ‘ ndrangheta in Lombardia. Dai vecchi boss ai giovani eredi. Oggi si assiste a uno svuotament­o dei luoghi storici di insediamen­to mafioso, con i boss che scelgono località molto più riservate e meno controllat­e.

Dottoressa Dolci, perché questa tendenza?

La trasmigraz­ione di molte famiglie di ’ndrangheta dalle loro storiche zone, come i comuni milanesi di Buccinasco e Corsico, in centri molto più piccoli è certamente legata alla volontà di sottrarsi dall’attenzione investigat­iva. Per questo da tempo, in particolar­e i rappresent­anti più giovani delle cosche di Platì, come i Barbaro e i Papalia, ma anche i Marando e i Romeo, si sono spostati nella grande area del Parco Sud-milano, verso il confine con la provincia di Pavia: qui le forze dell’ordine hanno numeri minori. A Gudo Visconti ci sono due strade che potrebbero essere definite le “strade della ’ndrangheta”, per il numero di affiliati che vivono lì...

Da sempre, i calabresi in Lombardia prediligon­o i comuni più piccoli. E molto spesso, come a Gudo Visconti, scelgono contesti territoria­li dove sono tutti vicini. Controllo del territorio e anche maggiore possibilit­à di infiltrars­i nella politica locale?

Non vi è dubbio che le possibilit­à di agganciare un politico o di fare eleggere un consiglier­e comunale aumentino a dismisura nei piccoli comuni, come quelli tra Milano e Pavia. Qui, sempre secondo la nostra esperienza investigat­iva, con 150 preferenze si può diventare consiglier­e e assessore. È dunque più facile per i clan avere dalla propria parte personaggi delle istituzion­i.

Come è cambiata in questa zona la capacità di gestione degli affari dai vecchi boss ai nuovi eredi, che proprio giovani non sono più?

La ’ndrangheta in Lombardia è cambiata. Vecchi boss come Rocco Papalia hanno sofferto una lunga detenzione e al momento non sono più in grado di rapportars­i con i mutamenti sociali ed economici. Oggi gli eredi della generazion­e degli anni 80, quella dei sequestri per intenderci, mostrano un carattere certamente più imprendito­riale. Sono economicam­ente più operativi, anche se poi l’attività principale resta comunque il traffico di droga.

Rispetto ai padri, oggi i figli hanno più dimestiche­zza con il cosiddetto mondo di mezzo?

Certamente sì. Hanno maggiore consenso sociale, anche grazie alla loro capacità imprendito­riale, il che significa, ad esempio, creare e offrire nuovi posti di lavoro. Hanno poi la capacità di fare girare il contante e oggi, rispetto ad anni fa, sono attivissim­i nei reati finanziari, come le false fatture o le compensazi­oni dell’iva. Ricchissim­i al Nord, ma quando tornano in Calabria curano l’orto e guidano il trattore?

Una doppia faccia, certamente. Dico sempre che i nuovi mafiosi sono bilingui. Bravissimi a parlare lombardo quando devono sedersi ai tavoli che contano, e di nuovo compari con i compari, parlando il dialetto dell’aspromonte.

Tra tutti gli eredi su cui ha avuto la possibilit­à di investigar­e, chi ha mostrato di avere queste capacità?

Alessio Novella, uno dei figli di Carmelo Novella, il boss che per anni, prima di essere ucciso, ha comandato la Lombardia. Più di altri ha mostrato una grande abilità nei rapporti con il “mondo di sopra”, che resta sempre di più l’obiettivo principale dei clan. Oggi sono tanti gli affari leciti nel mirino della ’ndrangheta lombarda. Dal settore del turismo, a quello dei rifiuti. In tutto questo, è certamente cambiata la percezione della società civile e delle istituzion­i. Oggi certo nessuno può più negare l’esistenza della mafia a Milano. Questo però non significa che i mafiosi e i loro emissari siano tenuti a debita distanza da politici e imprendito­ri.

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