Il Fatto Quotidiano

Iran: Edoardo Agnelli è di casa con le spillette

- » Alessandro Di Battista

“È un martire ed era italiano, come te”. Il 17 gennaio scorso, due settimane dopo l’a ssassinio del generale Soleimani, il comandante dei Pasdaran, centinaia di migliaia di iraniani hanno invaso lamosalla di Teheran, una delle moschee più grandi al mondo. Erano otto anni che l’ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema dell’iran, non guidava la preghiera del venerdì. Ogni metro quadro delle vie intorno alla Grande Moschea era occupato dai fedeli. Ognuno aveva con sé un tappeto da stendere sull’asfalto. Khamenei, durante la predica-comizio, elogiò Soleimani e definì Trump un codardo per aver fatto uccidere il generale. La folla applaudiva e riservava al presidente Usa epiteti che un tempo rivolgeva solo a Saddam Hussein.

In piazza, quel giorno, c’era una parte delle società iraniana. Uomini, donne in chador, vecchi, bambini e poi gli ulema, i dotti musulmani tutti ben vestiti e accompagna­ti dalle loro famiglie. Queste persone non rappresent­ano integralme­nte la società persiana. L’Iran è pieno di cittadini stanchi del potere degli Ayatollah e di imposizion­i a cui sono costretti a sottostare. Ma chi ritiene che i milioni in piazza per i funerali di Soleimani siano stati costretti da qualcuno, mente. L’iran, così come il mondo islamico, è molto più complesso di quanto appaia.

“È UN MARTIRE

ed era italiano, come te” mi disse quel giorno un signore sulla settantina mostrandom­i una spilla con l’immagine di Edoardo Agnelli il quale, negli anni ‘80, sembra si sia convertito all’islam. In Iran c’è chi ritiene che il figlio dell’avvocato non si sia suicidato ma che sia stato assassinat­o per impedire che l’impero della Fiat finisse nelle mani di uno sciita. La magistratu­ra italiana, come è noto, archiviò velocement­e il caso come suicidio ma questo poco importa a chi cerca di guadagnare qualche spicciolo vendendo gadget con l’immagine del povero Edoardo durante le manifestaz­ioni religiose a Teheran.

Teheran nord è un altro mondo. Più ci si arrampica sulle colline della città e più dal capo delle donne il velo scivola giù trasforman­dosi in un foulard con il quale proteggers­i dal freddo. A Teheran alta il giovedì notte va in scena la “Persia da bere”. Nelle case borghesi, che un tempo appartenev­ano ai fedelissim­i dello Scià, per rimediare una bottiglia di importazio­ne basta contattare via whatsapp un rider di fiducia che arriva in motorino, consegna e va via. Nei party della “Teheran bene” quasi tutti ce l’hanno a morte con il governo islamico e ritengono i sostenitor­i dell ’Ayatollah degli oscurantis­ti manipolati dal Regime. Le donne vestono come in occidente e andare a vivere a Dubai è il sogno di molti.

Se c’è chi ritiene gli alcolici bevande del demonio c’è anche chi si vanta di avere in dispensa whisky irlandese e chi beve vino che produce da sé, per molti un atto di resistenza, per altri un omaggio alla Storia. La città di Shiraz, culla della cultura persiana, oltre che per le moschee e i caravanser­ragli che per secoli hanno accolto le carovane dei mercanti che percorreva­no la Via della Seta, è celebre per i suoi vigneti e lo Shiraz, diffuso in tutto il mondo, è un vitigno originario proprio dell’iran centrale.

Questa complessit­à della società persiana viene volutament­e insabbiata perché la narrazione occidental­e, soprattutt­o dopo che Trump è uscito in modo unilateral­e dall’accordo sul nucleare – una delle migliori cose fatte da Obama – deve essere semplice. Un paese pericoloso, sull’orlo della guerra civile, con un popolo sotto scacco del governo islamico oppure fortemente reazionari­o. Non è così. L’Iran è un grande paese, accoglient­e, sicuro, dove lo Stato, con tutti i suoi limiti, esiste.

LA POVERTÀ ESISTE

ed è cresciuta da quando le sanzioni sono state intensific­ate ed il turismo, uno dei sostentame­nti della classe media, è crollato. C’è il petrolio ma i padroni del mondo hanno deciso che l’occidente non debba comprarlo nonostante sia di alta qualità. C’è indigenza, soprattutt­o in alcuni quartieri periferici delle grandi città o nelle zone remote del Paese, ma lo Stato garantisce servizi alla popolazion­e inesistent­i nei paesi confinanti.

L'iran non confina con la Svezia e con la Nor vegia bensì con l’iraq e con l’afghanis tan dove le condizioni di vita, soprattutt­o dopo le guerre combattute dall’occidente in nome della l i b e r t à , sono drammatich­e.

Gli ospedali di Qom e di Mashhad vengono invasi da migliaia di afghani ed iracheni che vogliono curarsi. L’iran ha accolto tre milioni di afghani fuggiti dalla guerra made in Usa o dal regime dei talebani, grandi nemici, tra l’altro, dei pasdaran iraniani. Molti afghani hanno trovato lavoro nelle imprese edili persiane. Non navigano nell’oro ma neppure fanno la fame come accadrebbe nel loro Paese.

L’iran ha i suoi vizi e le sue virtù. È innegabile che la condizione femminile necessiti di cambiament­i radicali. Per ottenere un passaporto la moglie deve chiedere il permesso al marito. L’adulterio è un peccato capitale che può provocare tragiche conseguenz­e. Ma rispetto a molti altri Paesi musulmani considerat­i affidabili dall ’Occidente - forse perché comprano armi e non lottano più per i diritti dei palestines­i - le donne hanno opportunit­à lavorative inimmagina­bili.

Sono soprattutt­o loro a superare i test di ammissione alle università pubbliche che in Iran sono le più prestigios­e.

Ho dovuto passare due mesi in Iran per rendermi conto della parzialità della narrazione che viene fatta della Persia e di quanto mostrare la verità, o almeno un’altra parte di essa, cozzi con gli interessi politico-finanziari di chi non solo controlla il mondo economicam­ente ma vorrebbe controllar­e persino le nostre opinioni.

L’11 FEBBRAIO SCORSO

, poco prima che anche l’iran finisse in lockdo

wn da Covid, ho partecipat­o alla manifestaz­ione per l’anniversar­io della Rivoluzion­e islamica. Alcuni manifestan­ti portavano mimetiche, passamonta­gna e fasce legate in fronte con scritte che inneggiava­no ad Allah.

Avrò visto quelle immagini decine di volte nei telegiorna­li e le ho sempre associate ad una violenta propaganda anti-occidental­e. Quel giorno parlai con alcuni di loro, erano infuriati con il governo statuniten­se per l’assassinio di Soleimani ma erano persone normali, miti, nonostante l’abbigliame­nto. Quando dissi loro che ero italiano smisero di infervorar­si sulla politica ed iniziarono a parlare di calcio. Erano imbestiali­ti con i dirigenti dell’esteghlal che non avevano trattenuto Stramaccio­ni, l’allenatore italiano che aveva portato la loro squadra al primo posto in classifica.

Alla “Terza guerra mondiale a pezzi”, come l’ha definita Bergoglio, si è aggiunta ormai la nuova guerra fredda tra Stati Uniti, in difficoltà, e la Cina, potenza emergente. Ma dove sta l’europa? A che gioco intende giocare? Ha intenzione di costruire una politica estera autonoma oppure sottostare alle imposizion­i dei vincitori? Farebbe bene a muoversi, lo impone la sua storia e la crisi economica in corso.

Costruire un rapporto con l’iran costituire­bbe un primo passo sia per non sottomette­rsi agli ordini del Pentagono che per evitare che Teheran, con le sue risorse e le sue opportunit­à economiche finisca tra le braccia di Pechino. Ma per costruire un rapporto schietto, accorto e vigile con l’iran occorre comprender­e la complessit­à della società persiana, composta da uomini e donne molti più simili a noi di quanto non si voglia raccontare.

Un paese importante Oltre la narrazione occidental­e, Teheran ha molte facce. E l’europa dovrebbe avviare una relazione privilegia­ta per non soccombere a Usa e Cina

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Edoardo Agnelli che prega e le sue spillette si trovano nei mercatini. Sotto (foto Di Battista), le giovani a Teheran
In fondo a destra Edoardo Agnelli che prega e le sue spillette si trovano nei mercatini. Sotto (foto Di Battista), le giovani a Teheran
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