Il Fatto Quotidiano

Di Maio impegna il governo, l’onu fa finta di niente

IL CASO Alla veglia di Paciolla, il giovane trovato impiccato con segni di arma da taglio mentre lavorava in Colombia, il presidente Fico: “Faremo luce”

- » Francesca Borri

Domandi ai passanti se conoscono il caso di Mario Paciolla, il 33enne ritrovato morto in Colombia il 15 luglio, e per le strade di Napoli, tutti ti dicono di no. E si dileguano. Colombia, hai detto. Pensano sia un camorrista. Ma in fondo, come potrebbero averne sentito parlare? Sulla homepage della missione dell’onu per cui lavorava, che sovrainten­de al fragile processo di pace in corso tra lo Stato e le milizie dedite un po’ al marxismo e un po’ al narcotraff­ico, non c’è un rigo. Al Mattino , poi, si sono sbagliati: quello nella foto non è lui. Eppure alla Villa Comunale, alla veglia in sua memoria, la sera non manca nessuno. C’è Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, che chiede alla Colombia e all’onu collaboraz­ione e lealtà, e dice: “Non sono qui solo per dovere”, c’è il presidente della Camera Roberto Fico, che promette: “Avremo la verità”, e c’è Sandro Ruotolo, oggi senatore, ma quando dice: “Sono a disposizio­ne”, sembra dirlo con tutta la sua esperienza di giornalist­a di inchiesta. Perché è Luigi De Magistris, il sindaco, ultimo sul palco, il primo a dirlo senza mezzi termini: “Vogliamo giustizia per questo omicidio”.

LA TESI DEL SUICIDIO, infatti, che per ora è ancora la tesi ufficiale, non è delle più solide. Il 10 lugliomari­o Paciolla, che era in Colombia già dal 2016, e viveva 650 chilometri a sud di Bogotà, a San Vicente de Caguán, bastione dei guerriglie­ri, aveva detto alla madre di essersi ficcato in un guaio. E di essere in pericolo. Aveva anticipato il rientro, e prenotato un volo per Roma per il 20 luglio. E aveva sbloccato una serratura per garantirsi una via di fuga dal tetto. Il suo corpo è stato ritrovato impiccato la mattina della partenza per Bogotà. Impiccato: ma con ferite di arma da taglio. Alle 22 aveva allertato il responsabi­le sicurezza dell’onu.

E non a caso, sul palco c’è anche Alessandra Ballerini. L’avvocato della famiglia. E della famiglia Regeni. Sotto il palco, tanti hanno al polso il braccialet­to giallo di Giulio. Sono “la meglio gioventù” di Napoli, trentenni che hanno condiviso con Mario Paciolla il liceo, un campo da basket, gli esami all’orientale, un centro sociale, e ora sono sparsi per l’italia e mezza Europa, e fissano lividi il suo volto su uno striscione rosso: consapevol­i che avrebbe potuto essere il loro. Ma la Colombia non è l’egitto, e il suo impegno, come quello della Farnesina, è totale. Meno quello dell’onu, che ha già svuotato l’appar tamento di San Vicente de Caguán di ogni prova. Alla porta, il proprietar­io ha già appeso un “Fittasi”. Naturalmen­te, l’onu è molte cose. Ed è possibile che le tensioni fossero non al suo interno, ma in quella zona grigia che è tipica di ogni missione internazio­nale: la zona di contatto, e frizione, con il contesto locale. Anche perché i suoi compagni di liceo non hanno dubbi: Mario Paciolla non era uno che si tirava indietro. Non aveva scelto quella vita per conoscere il mondo, ma per cambiarlo. “E in Colombia si è scontrato con i suoi superiori più volte. Ma non era un avventurie­ro”, dice Simone, che oggi è ingegnere. “Era stato persino il logista della stampa del Vaticano durante l’ultima visita del Papa”. E in effetti, colpisce. In Italia, le migliori analisi della Colombia degli ultimi anni sono quelle di Limes, firmate da Astolfo Bergman. Era il suo pseudonimo. Si occupava della parte più complessa, e cruciale, del processo di pace: il reinserime­nto sociale dei guerriglie­ri. In un paese in cui l’alternativ­a alle armi c’è: ma è la cocaina. La Colombia è il primo produttore al mondo. Ed è in cima anche a un'altra classifica.

QUELLA DEGLI OMICIDI degli attivisti per i diritti umani. Due a settimana. Il 30% del totale. “Ma era molto riservato. Non parlava mai dei rischi, dei problemi. Della solitudine. Non parlava mai di sé. E poi, onestament­e, domandavam­o poco”, dice Alessandro, che ora fa il giornalist­a. Tace un momento. “Perché alla fine, è una vita così diversa dalla tua. Così strana. E poi… E poi perché ti senti in difficoltà”, dice. Sono cresciuti al Rione Alto. Sopra il Vomero. Un’area di palazzine anni Sessanta, anonime, ma comunque una di quelle da cui si dice: scendo in centro. E solo Francesco Vuolo, biotecnolo­go, il solo a dirmi il suo nome per intero, decide di girarlo con me, e di raccontarm­i il liceo, l’oratorio, la piazzetta Totò, i luoghi di 33 anni insieme. “In un certo senso, è come se avessimo scoperto Mario solo adesso. Ti diceva: ‘ Lavoro all’onu’, come io: Lavoro in laboratori­o”, dice. “Ha avuto coraggio. Testa, ma soprattutt­o coraggio”.

L’AVVISO ALLA MADRE AVEVA DETTO DI ESSERE NEI GUAI

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La veglia a Napoli per ricordare Mario Paciolla: sul palco anche i suoi genitori
FOTO ANSA Il ricordo La veglia a Napoli per ricordare Mario Paciolla: sul palco anche i suoi genitori

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