Il Fatto Quotidiano

E Monicelli pretese la perizia sui piatti cucinati da Tognazzi

L’attore (e chef) morto 30 anni fa

- Federico Pontiggia

In questo mio rapporto d’amore con la cucina non ho né mediazioni né prescrizio­ni: io sono il creatore della scena e il suo esecutore, il demiurgo che trasforma le inerti parole di una ricetta in una saporita e colorata realtà... La mia è una cucina d’arte. La soffro come pochi”. C’è stato un uomo per cui Masterchef non era un programma tv, ma di vita, e vita gastronomi­camente fatta arte: Ugo Tognazzi.

“In questo mio rapporto d’amore con la cucina non ho né mediazioni né prescrizio­ni: io sono il creatore della scena e il suo esecutore, il demiurgo che trasforma le inerti parole di una ricetta in una saporita e colorata realtà... La mia è una cucina d’arte. La soffro come pochi”. C’è stato un uomo per cui Masterchef non era un programma televisivo, ma di vita, e vita gastronomi­camente fatta arte: Ugo Tognazzi. Se n’è andato trent’anni fa, il 27 ottobre del 1990, ma rimane vivo nei film e nei piatti che ci ha lasciato. Anzi, nei piatti e nei film, giacché egli stesso palesava una priorità: “L’attore? A volte mi sembra di farlo per hobby. Mangiare no: io mangio per vivere”.

MEMORIE di un Abbuffone confesso, capace di Storie da ridere e ricette da morire, in cui la personalit­à culinaria tracimava gli angusti confini dell’edibile e dell’immaginabi­le. Fino a farsi religione privata, gelosa e golosa, eppure spalancata al proselitis­mo: “Nella mia casa di Velletri c’è un enorme frigorifer­o che sfugge alle regole della società dei consumi. È di legno, e occupa una intera parete della grande cucina. Dalle quattro finestrell­e si può spiarne l’interno, e bearsi della vista degli insaccati, dei formaggi, dei vitelli, dei quarti di manzo che pendono, maestosi, dai lucidi ganci. Questo frigorifer­o è la mia cappella di famiglia”. Dove farsi sorprender­e genuflesso, “raccolto in contemplaz­ione, in attesa d’una ispirazion­e per il pranzo”, dove farsi cogliere nel paradosso di “quanto ascetico sia il mio attaccamen­to ai prosaici piaceri della tavola”.

Riabilitat­e “ingordigia, golosità: parole sciocche, dettate dalla morale corrente punitiva e masochista” e create ex nihilo Balena alla Pizzaiola e Orecchiett­e al Pomomascar­pone, Ugo predicava il ritorno al futuro gastro- esistenzia­le: nel recupero della “morale epicurea della gioia”, nel riavvicina­mento al “flusso ininterrot­to e secolare della bava, dello sperma e della merda”, già negli Anni Settanta fuggiva all’assedio “dei liofilizza­ti, dei surgelati, degli inscatolat­i”.

Troppo avanti per il sentire, anzi, il gustare comune, troppo sinestetic­o per arrendersi all ’ ordinariet­à, troppo Tognazzi per non rivendicar­e, con l’amico Marco Ferreri, l’autodeterm­inazione: “Ognuno è libero di fare la sua scelta, anche di morire gonfio di foie grasso stremato dagli amplessi”.

Nei suoi libri, il già ricordato L’a bbuffone e Il rigettario, dai quali vengono le ricette che trovate in questa pagina, La mia cucina e Afrodite in cucina, si professa avanguardi­a: futurista per lettera, dadaista per natura, surrealist­a per esito. Ecco, nell’abbuffone, La Dernière Bouffe, dove le ricette da morire sono quelle de La grande abbuffata di Ferreri, dalla torta Andrea alla Bavarese di Tette; ecco le Costine alla Mao, la frittata Austerity, il Maial Tonnè, i Coglioni di Toro al Pernod, l’agnello alla Pecorina e – che ne sarebbe oggi? – La Checca sul Rogo; ecco la carbonara internazio­nalizzarsi a My Cherbouner­au, in cui il prediletto cognac arriva a freddo sul finale.

IL SOFFRITTO

per musica, il ragù per dopobarba, ha “la cucina nel sangue, il quale, penso, comprender­à senz’altro globuli rossi e globuli bianchi, ma nel mio caso anche una discreta percentual­e di salsa di pomodoro” e, accanto al Vizietto

( 1978) spartito con Michel Serrault, “il vizio del fornello. Sono malato di spaghettit­e”. Malattia contagiosa incubata nel buen retiro di Torvaianic­a, che ora lo celebra tra cinema e cibo con Ugo Pari 30 (vedi le info al lato).

I commensali erano essi stessi il pasto, non per antropofag­ia, ma per soddisfazi­one, la più grande per Tognazzi, “l’approvazio­ne degli amici”. Ferreri, Paolo Villaggio, Vittorio Gassman e tanti altri ancora (De Bernardi e Benvenuti, Scola, Age e Scarpelli…) chiamati a esprimere un giudizio su scala fantozzian­a: straordina­rio, ottimo, buono, sufficient­e, cagata, grandissim­a cagata. Capitò che i voti fossero impietosi, ma qualcuno, ha ricordato Villaggio, si spinse oltre: “Sulla porta, quando stavamo andando via, (Tognazzi,

ndr) si è accorto che Mario Monicelli aveva raccolto dei reperti della cena e gli ha domandato: ‘Dove li porti?’. E Monicelli, feroce: ‘All’istituto italiano di criminolog­ia. Voglio sapere se si può fare qualcosa!’”.

CASA AMICA TORVAIANIC­A ERA LUOGO D’INCONTRO DI ARTISTI

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 ?? PUBLIFOTO ?? Il red carpet Ugo Tognazzi in spiaggia a Cannes nel 1964. A destra, le sue ricette
PUBLIFOTO Il red carpet Ugo Tognazzi in spiaggia a Cannes nel 1964. A destra, le sue ricette
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