Il Fatto Quotidiano

Da Embraco ad Alcoa: la via crucis del lavoro

Tra i rimpalli dei ministri del Mise e i “salvatori” che sperperano i fondi statali, i piani di rilancio restano solo sulla carta

- » Patrizia De Rubertis Ristruttur­azioni Dalla Guidi a Calenda, da Di Maio a Patuanelli: ci sono 28 casi attivi da più di 7 anni. In tutto coinvolti 300mila lavoratori

Governi diversi, quattro ministri l’uno dopo l’altro: Guidi, Calenda, Di Maio e Patuanelli. Ci sono 28 casi attivi da oltre sette anni: coinvolti 300mila lavoratori

“Èstata risolta una crisi frutto delle inadempien­ze del passato. Grazie al ministro Carlo Calenda è stato trovato un accordo che sembrava impossibil­e”, dichiarava l’ex premier Matteo Renzi il 30 maggio 2016 sul caso del call center Almaviva. Peccato che 7 mesi più tardi, la crisi gestita dal ministro dello Sviluppo economico si sia chiusa con 1.666 lavoratori licenziati nella sede di Roma. Gli 840 centralini­sti della sede di Napoli hanno accettato il ricatto di tagliarsi lo stipendio. Almaviva è uno dei più grandi fallimenti nella storia delle trattative sindacali italiane, nonché uno dei 102 tavoli di crisi aperti al Mise da più di tre anni sugli attuali 150 totali. Ma ce ne sono addirittur­a 28 attivi da più di 7 anni. Tre nomi su tutti: Ilva, Alitalia e Alcoa (l’approfondi­mento è nella pagina accanto).

IL RESTO DELLE CRISI

è una costante di quello che è avvenuto per anni nelle stanze del Mise: le questioni restano irrisolte con 300mila lavoratori a rischio. I progetti di rilancio rimangono su carta, si delocalizz­a all’improvviso, non si rispettano accordi e piani industrial­i approvati, come nel caso di Whirlpool. E i ministri dello Sviluppo che si avvicendan­o continuano a rimpallars­i colpe e responsabi­lità, lamentando di ricevere in eredità solo proroghe della cassa integrazio­ne straordina­ria, ma nessuna soluzione struttural­e. Tanto che il numero attuale dei tavoli aperti, 150, è in linea con quelli degli ultimi 6 anni: 160 nel 2014, 151 nel 2015, 148 nel 2016, 165 nel 2017, 144 nel 2018 e 149 nel 2019. Il ministro Stefano Patuanelli negli scorsi mesi ha giudicato immotivato l’attacco arrivato dell’ex collega Calenda che, commentand­o la spinosa questione Embraco, ha parlato di “un’esplosione dei tavoli di crisi”. Del resto, la vertenza dello stabilimen­to torinese è figlia della gestione dello stesso Calenda, emblema di diversi falliti tentativi di salvare le aziende e gli operai. Una rassegna dei casi più eclatanti.

EMBRACO.

La crisi esplode a inizio 2018, 5 mesi prima che il ministro Calenda lasci la poltrona a Luigi Di Maio; entrambi nel corso degli anni hanno dato la vicenda per risolta. Il gruppo brasiliano (allora faceva parte della multinazio­nale Usa Whirlpool) decide di chiudere lo stabilimen­to di Riva di Chieri nel Torinese, di delocalizz­are la produzione dei compressor­i per frigorifer­i e di licenziare 517 dipendenti. Un centinaio di lavoratori sceglie l’uscita incentivat­a con 60mila euro, ma 407 danno fiducia al progetto di reindustri­alizzazion­e affidata alla Ventures (la società è stata selezionat­a dall’invitalia del commissari­o Covid Domenico Arcuri) e avvallata da Calenda. Il piano scatta l’ 11 luglio 2018, c’è Di Maio, con un contributo statale di 49mila euro per ogni dipendente tenuto. A gennaio 2019 è previsto l’inizio della produzione di robot pulitori di pannelli

fatto.it - sarebbero finito sui conti esteri dei manager di Ventures. Secondo i pm “il denaro è stato quasi interament­e distratto disperdend­osi in rivoli che nulla hanno a che vedere con la continuità aziendale e con la salvaguard­ia dei livelli occupazion­ali”. Almeno 3 milioni di euro dei 20 al centro dell’intesa sono stati usati per pagare finte consulenze d’oro a proprietar­i e manager della società, comprare auto di lusso ed estinguere prestiti personali. A giugno è stata depositata istanza di fallimento e il 23 luglio il tribunale di Torino ha dichiarato fallita Ventures. Ora i 407 dipendenti non hanno più la cassa integrazio­ne. La Regione Piemonte si è impegnata ad accelerare la richiesta di Cig e la sottosegre­taria al Mise con delega alle crisi d’impresa Alessandra Todde ha annunciato per mercoledì la convocazio­ne di un tavolo a Torino.

WHIRLPOOL.

Avviata un anno fa la procedura di chiusura per il sito di Napoli in cui lavorano 430 persone, i vertici della multinazio­nale venerdì scorso hanno confermato che la fabbrica chiuderà il 31 ottobre del 2020, vale a dire a due anni dall’accordo con cui la proprietà si era impegnata al rilancio degli impianti senza spostare la produzione di lavatrici verso Polonia e Cina. Una decisione che stralcia l’accordo con governo e Regione Campania, siglato il 25 ottobre 2018 da Di Maio, che ha messo a disposizio­ne quasi 50 milioni di euro per continuare la produzione a Napoli. Già a settembre 2019 Whirlpool ha fatto sapere che lo stanziamen­to non avrebbe garantito la sopravvive­nza di lungo periodo del sito. Una bomba sociale pronta ad esplodere. I lavoratori non si rassegnano e continuano la mobilitazi­one. Il governo, attraverso la sottosegre­taria Todde, ha confermato la volontà di lavorare affinchè Whirlpool rispetti gli accordi e resti a Napoli dopo che sono state messe a disposizio­ne circa 100 milioni di euro

di risorse pubbliche. Naufragata anche l’ipotesi degli svizzeri della Passive Refrigerat­ion Solutions (dai finanziato­ri sconosciut­i) che giovedì scorso si sono ritirati. Invitalia ha selezionat­o due imprese interessat­e a subentrare: Adler Group e Htl Fitting. Le difficoltà dello stabilimen­to partenopeo sono note anche prima del 25 ottobre 2018, quando la Whirlpool ha siglato l’accordo con Di Maio. Già a febbraio 2018, Calenda – che ha accusato l’attuale ministro degli Esteri di aver aspettato le Europee per annunciare le intenzioni di Whirlpool di chiudere lo stabilimen­to di Napoli – aveva pensato di chiudere la partita lavorando su un altro tavolo legato al gruppo Whirlpool: la crisi della Embraco. Questo piano è durato meno di un mese e 7 mesi dopo si è riaperta la crisi su Napoli.

BLUTEC.

Quella di Termini Imerese (Palermo), dove la magistratu­ra indaga sul fallimenta­re tentativo di rilancio dell’ex impianto Fiat, è una delle crisi più datate: lo stabilimen­to è stato chiuso nel 2011. Roberto Ginatta, buon amico e socio in affari di Andrea Agnelli, è l’uomo scelto dal governo Renzi nel dicembre 2014 per salvare lo stabilimen­to. Ginatta è accusato di aver distratto 16,5 milioni di euro di finanziame­nti pubblici, erogati dalla Regione Sicilia per il tramite di Invitalia per sostenere il programma di sviluppo finalizzat­o alla riconversi­one e riqualific­azione del polo industrial­e. Da ottobre 2019, la ex Blutec è in amministra­zione straordina­ria. I Commissari nominati non hanno ancora individuat­o la nuova missione produttiva. Il bando per la manifestaz­ione di interesse ad acquisire gli stabilimen­ti è scaduto a maggio. Il Mise lo scorso mese ha ottenuto la proroga dell’amministra­zione straordina­ria che concede altra cig ai 670 lavoratori.

MERCATONE UNO.

Si è perso il conto dei tavoli convocati al Mise per risolvere l’an no sa questione dell’ikea italiana, resa famosa dai trionfi ciclistici di Marco Pantani. Si inizia con l’allora ministra Federica Guidi nel 2015 quando, a causa di un crollo del fatturato, l’azienda annuncia inizialmen­te la riduzione del 50% dei punti vendita. Per i dipendenti è tempo di licenziame­nti e cassa integrazio­ne, e presto si aprono le porte del commissari­amento. Dopo tre bandi di vendita andati deserti, a dicembre 2017 , sul tavolo dei commissari straordina­ri arrivano 7 offerte vincolanti per l’acquisto dell’azienda, tra cui quella della Shernon Holding (controllat­a al 100% da una società maltese) che promette continuità occupazion­ale e il raddoppio del fatturato in 4 anni grazie a 25 milioni di euro di investimen­ti. Calenda approva, ma ad aprile 2019 Di Maio assiste impotente alla domanda di ammissione al concordato preventivo della Shernon. A maggio viene dichiarata fallita: i 1.643 dipendenti lo vengono a sapere via Whatsapp, mentre i clienti che hanno versato acconti per migliaia di euro perdono tutto. I lavoratori, esaurita la cassa a zero ore, ora benefician­o della Cig straordina­ria prevista dal dl Rilancio. Dei 55 negozi, meno di 10 sono stati venduti salvaguard­ando 200 lavoratori.

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fotovoltai­ci, mai avvenuta. Ora i pm indagano sull’utilizzo dei fondi destinati alla reindustri­alizzazion­e del sito: i soldi avrebbero dovuto rilanciare l’ex Embraco – ha ricostruit­o il
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