Da Embraco ad Alcoa: la via crucis del lavoro
Tra i rimpalli dei ministri del Mise e i “salvatori” che sperperano i fondi statali, i piani di rilancio restano solo sulla carta
Governi diversi, quattro ministri l’uno dopo l’altro: Guidi, Calenda, Di Maio e Patuanelli. Ci sono 28 casi attivi da oltre sette anni: coinvolti 300mila lavoratori
“Èstata risolta una crisi frutto delle inadempienze del passato. Grazie al ministro Carlo Calenda è stato trovato un accordo che sembrava impossibile”, dichiarava l’ex premier Matteo Renzi il 30 maggio 2016 sul caso del call center Almaviva. Peccato che 7 mesi più tardi, la crisi gestita dal ministro dello Sviluppo economico si sia chiusa con 1.666 lavoratori licenziati nella sede di Roma. Gli 840 centralinisti della sede di Napoli hanno accettato il ricatto di tagliarsi lo stipendio. Almaviva è uno dei più grandi fallimenti nella storia delle trattative sindacali italiane, nonché uno dei 102 tavoli di crisi aperti al Mise da più di tre anni sugli attuali 150 totali. Ma ce ne sono addirittura 28 attivi da più di 7 anni. Tre nomi su tutti: Ilva, Alitalia e Alcoa (l’approfondimento è nella pagina accanto).
IL RESTO DELLE CRISI
è una costante di quello che è avvenuto per anni nelle stanze del Mise: le questioni restano irrisolte con 300mila lavoratori a rischio. I progetti di rilancio rimangono su carta, si delocalizza all’improvviso, non si rispettano accordi e piani industriali approvati, come nel caso di Whirlpool. E i ministri dello Sviluppo che si avvicendano continuano a rimpallarsi colpe e responsabilità, lamentando di ricevere in eredità solo proroghe della cassa integrazione straordinaria, ma nessuna soluzione strutturale. Tanto che il numero attuale dei tavoli aperti, 150, è in linea con quelli degli ultimi 6 anni: 160 nel 2014, 151 nel 2015, 148 nel 2016, 165 nel 2017, 144 nel 2018 e 149 nel 2019. Il ministro Stefano Patuanelli negli scorsi mesi ha giudicato immotivato l’attacco arrivato dell’ex collega Calenda che, commentando la spinosa questione Embraco, ha parlato di “un’esplosione dei tavoli di crisi”. Del resto, la vertenza dello stabilimento torinese è figlia della gestione dello stesso Calenda, emblema di diversi falliti tentativi di salvare le aziende e gli operai. Una rassegna dei casi più eclatanti.
EMBRACO.
La crisi esplode a inizio 2018, 5 mesi prima che il ministro Calenda lasci la poltrona a Luigi Di Maio; entrambi nel corso degli anni hanno dato la vicenda per risolta. Il gruppo brasiliano (allora faceva parte della multinazionale Usa Whirlpool) decide di chiudere lo stabilimento di Riva di Chieri nel Torinese, di delocalizzare la produzione dei compressori per frigoriferi e di licenziare 517 dipendenti. Un centinaio di lavoratori sceglie l’uscita incentivata con 60mila euro, ma 407 danno fiducia al progetto di reindustrializzazione affidata alla Ventures (la società è stata selezionata dall’invitalia del commissario Covid Domenico Arcuri) e avvallata da Calenda. Il piano scatta l’ 11 luglio 2018, c’è Di Maio, con un contributo statale di 49mila euro per ogni dipendente tenuto. A gennaio 2019 è previsto l’inizio della produzione di robot pulitori di pannelli
fatto.it - sarebbero finito sui conti esteri dei manager di Ventures. Secondo i pm “il denaro è stato quasi interamente distratto disperdendosi in rivoli che nulla hanno a che vedere con la continuità aziendale e con la salvaguardia dei livelli occupazionali”. Almeno 3 milioni di euro dei 20 al centro dell’intesa sono stati usati per pagare finte consulenze d’oro a proprietari e manager della società, comprare auto di lusso ed estinguere prestiti personali. A giugno è stata depositata istanza di fallimento e il 23 luglio il tribunale di Torino ha dichiarato fallita Ventures. Ora i 407 dipendenti non hanno più la cassa integrazione. La Regione Piemonte si è impegnata ad accelerare la richiesta di Cig e la sottosegretaria al Mise con delega alle crisi d’impresa Alessandra Todde ha annunciato per mercoledì la convocazione di un tavolo a Torino.
WHIRLPOOL.
Avviata un anno fa la procedura di chiusura per il sito di Napoli in cui lavorano 430 persone, i vertici della multinazionale venerdì scorso hanno confermato che la fabbrica chiuderà il 31 ottobre del 2020, vale a dire a due anni dall’accordo con cui la proprietà si era impegnata al rilancio degli impianti senza spostare la produzione di lavatrici verso Polonia e Cina. Una decisione che stralcia l’accordo con governo e Regione Campania, siglato il 25 ottobre 2018 da Di Maio, che ha messo a disposizione quasi 50 milioni di euro per continuare la produzione a Napoli. Già a settembre 2019 Whirlpool ha fatto sapere che lo stanziamento non avrebbe garantito la sopravvivenza di lungo periodo del sito. Una bomba sociale pronta ad esplodere. I lavoratori non si rassegnano e continuano la mobilitazione. Il governo, attraverso la sottosegretaria Todde, ha confermato la volontà di lavorare affinchè Whirlpool rispetti gli accordi e resti a Napoli dopo che sono state messe a disposizione circa 100 milioni di euro
di risorse pubbliche. Naufragata anche l’ipotesi degli svizzeri della Passive Refrigeration Solutions (dai finanziatori sconosciuti) che giovedì scorso si sono ritirati. Invitalia ha selezionato due imprese interessate a subentrare: Adler Group e Htl Fitting. Le difficoltà dello stabilimento partenopeo sono note anche prima del 25 ottobre 2018, quando la Whirlpool ha siglato l’accordo con Di Maio. Già a febbraio 2018, Calenda – che ha accusato l’attuale ministro degli Esteri di aver aspettato le Europee per annunciare le intenzioni di Whirlpool di chiudere lo stabilimento di Napoli – aveva pensato di chiudere la partita lavorando su un altro tavolo legato al gruppo Whirlpool: la crisi della Embraco. Questo piano è durato meno di un mese e 7 mesi dopo si è riaperta la crisi su Napoli.
BLUTEC.
Quella di Termini Imerese (Palermo), dove la magistratura indaga sul fallimentare tentativo di rilancio dell’ex impianto Fiat, è una delle crisi più datate: lo stabilimento è stato chiuso nel 2011. Roberto Ginatta, buon amico e socio in affari di Andrea Agnelli, è l’uomo scelto dal governo Renzi nel dicembre 2014 per salvare lo stabilimento. Ginatta è accusato di aver distratto 16,5 milioni di euro di finanziamenti pubblici, erogati dalla Regione Sicilia per il tramite di Invitalia per sostenere il programma di sviluppo finalizzato alla riconversione e riqualificazione del polo industriale. Da ottobre 2019, la ex Blutec è in amministrazione straordinaria. I Commissari nominati non hanno ancora individuato la nuova missione produttiva. Il bando per la manifestazione di interesse ad acquisire gli stabilimenti è scaduto a maggio. Il Mise lo scorso mese ha ottenuto la proroga dell’amministrazione straordinaria che concede altra cig ai 670 lavoratori.
MERCATONE UNO.
Si è perso il conto dei tavoli convocati al Mise per risolvere l’an no sa questione dell’ikea italiana, resa famosa dai trionfi ciclistici di Marco Pantani. Si inizia con l’allora ministra Federica Guidi nel 2015 quando, a causa di un crollo del fatturato, l’azienda annuncia inizialmente la riduzione del 50% dei punti vendita. Per i dipendenti è tempo di licenziamenti e cassa integrazione, e presto si aprono le porte del commissariamento. Dopo tre bandi di vendita andati deserti, a dicembre 2017 , sul tavolo dei commissari straordinari arrivano 7 offerte vincolanti per l’acquisto dell’azienda, tra cui quella della Shernon Holding (controllata al 100% da una società maltese) che promette continuità occupazionale e il raddoppio del fatturato in 4 anni grazie a 25 milioni di euro di investimenti. Calenda approva, ma ad aprile 2019 Di Maio assiste impotente alla domanda di ammissione al concordato preventivo della Shernon. A maggio viene dichiarata fallita: i 1.643 dipendenti lo vengono a sapere via Whatsapp, mentre i clienti che hanno versato acconti per migliaia di euro perdono tutto. I lavoratori, esaurita la cassa a zero ore, ora beneficiano della Cig straordinaria prevista dal dl Rilancio. Dei 55 negozi, meno di 10 sono stati venduti salvaguardando 200 lavoratori.