Il Fatto Quotidiano

Le grandi opere e la grande arte, ma con Augusto

Grandi opere Una galleria stradale di età augustea che, perforando il colle di Posillipo per 700 metri, permetteva di giungere alle delizie dei Campi Flegrei

- » Tomaso Montanari

L’agosto che si è appena aperto ha cinque lunedì: prima di riprendere a sgranare, in questa pagina, il rosario di manomissio­ni e omissioni che ogni giorno colpiscono paesaggio e patrimonio, proviamo a usarli per suggerire un itinerario ricreante, tra pietre e popolo.

“Felice Napoli, io dico, e degna d’invidia, sede augustissi­ma delle lettere, se già sembrasti sì dolce a Virgilio”: l’esclamazio­ne di Francesco Petrarca è il miglior viatico a una mezza giornata d’estate passata nel piccolo parco che – a Piedigrott­a, alle pendici orientali della collina di Posillipo, ormai nel cuore della caotica città moderna – accoglie la tomba di Virgilio, e quella di Giacomo Leopardi. Poco importa se, sulla prima, la tradizione risale giusto all’epoca di Petrarca, e se, quanto alla seconda, c’è più d’una ragione per credere che l’amico Antonio Ranieri mentisse pietosamen­te quando affermò d’aver salvato la salma di Giacomo alle fosse comuni che ingoiavano i corpi di un’altra epidemia. Non si tratta, infatti, di andare a verificare quelle reliquie con la meticolosi­tà contabile di un ragioniere della morte, ma di godere per qualche ora di ciò che davvero rende unico tra tutti il nostro Paese: quella comunione tra natura, storia, letteratur­a, arte che formano, abbraccian­dosi fino a confonders­i, i luoghi in cui si dipana oggi la nostra vita.

SIAMO, per la precisione, all’i mboccatura di una Grande Opera dell’antichità: quella Crypta Neapolitan­a che altro non è che una galleria stradale realizzata in età augustea che, perforando il colle di Posillipo per 700 metri, permetteva di giungere assai più velocement­e dalla metropoli partenopea alle delizie dei Campi Flegrei. Grazie a un incantesim­o diametralm­ente opposto a quello che avvince le Grandi Opere dei nostri Sblocca Italia, o Decreti Semplifica­zione che siano, in quella galleria, benché oscurissim­a, non poteva avvenire alcun delitto: tal “che in niuno tempo non di guerra e non di pace fo fatto mai atto disonesto, né per omicidio, né per robaria, né per sforzament­o di femmene, senza timore né suspizione a quelli che ce passano e non se nce po’ ordinare imboscamen­to e questo è provato et indu[bita]to perfino a’ nostri tempi”. Così sostiene la trecentesc­a Cronaca di

Partenope : presentand­o con la consueta, assertiva sicurezza una leggenda tipicament­e medioevale. Interessan­te è conoscere l’artefice di tanto incantesim­o: che almeno dal 1190 (quando a scriverlo è un chierico inglese, Gervasio di Tilbury, che possedeva una villa a Nola) si riteneva essere lo stesso autore della galleria (“si vera vox populi est”, chiosava maligno il solito Petrarca), e cioè nientemeno che il poeta Virgilio, nell’età di Mezzo trasfigura­to in meraviglio­so mago.

Non mancavano, come sempre, altre ipotesi sulla genesi di un simile prodigio di ingegneria civile: la più fascinosa essendo forse quella del rabbino Beniamino di Tudela, che la voleva costruita da Romolo per difendere l’italia da un possibile attacco del biblico David, re d’israele.

Ma è Virgilio, va da sé, a far breccia nell’immaginari­o collettivo: e fu così che si iniziò a credere che il sepolcro a colombario con tamburo cilindrico su un basamento quadrangol­are, edificato in opus reticulatu­m, agli inizi dell’età imperiale, nei pressi della Crypta fosse proprio la tomba di Virgilio, rimasto in qualche modo a guardia e a garanzia del suo capolavoro.

Da quando vi vennero pellegrini, forse increduli ma certo commossi, Petrarca e Boccaccio, generazion­i di poeti, viaggiator­i, turisti sono salite tra la vegetazion­e per ricordare, celebrare, ringraziar­e Virgilio: mago se non altro della parola.

FINCHÉ, NEL 1939,

quando si ebbe la pessima idea di demolire la chiesa di San Vitale nel cui portico era stato sepolto Giacomo Leopardi (“scrittore di filosofia e di poesia altissimo, da paragonare solamente coi greci” secondo l’ispirata epigrafe dettata da Ranieri), si pensò – felicissim­amente – di portarne le spoglie qua a Posillipo (cioè nel luogo che, secondo il nome greco, “lenisce il dolore”), affiancand­o le tombe dei due poeti in un itinerario che ancor’oggi toglie il fiato. Al punto di da farci rileggere, una volta tanto senza l’inevitabil­e cupo pessimismo, il celeberrim­o incipit della sua Canzone all’italia: “O patria mia, vedo le mura e gli archi / E le colonne e i simulacri e l'erme / Torri degli avi nostri, / Ma la gloria non vedo”. Perché, c’è poco da fare, la gloria dell’italia è proprio questa, se non la distruggia­mo: la struggente bellezza che, appena siamo disposti ad accoglierl­a, sa farci umani, e farci felici.

Lo aveva ben capito Goethe, che nel suo Viaggio in I

talia annotò: “Questa sera ci siamo recati alla grotta di Posillipo, nel momento in cui il sole, tramontand­o, passa con i suoi raggi fino alla parte opposta. Ho perdonato tutti quelli che perdono la testa per questa città”.

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Parco della Grotta di Posillipo, Napoli: fu visitata da Goethe
FOTO ANSA Percorsi culturali Parco della Grotta di Posillipo, Napoli: fu visitata da Goethe

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