Beirut esplode, è una strage: dubbi fra bomba e incidente
Due potenti esplosioni al porto creano l’inferno, a fuoco tonnellate di agenti chimici sotto sequestro: “È come Hiroshima”
porto devastato da una serie di scoppi in un magazzino dove erano conservati materiali chimici sequestrati. Il calore sviluppato ha prodotto un “fungo nucleare”
L’ecatombe si è abbattuta con un fragore mai udito in Libano, mentre i ministri litigavano come sempre, incolpandosi l’un l’altro di essere corrotti e di aver portato il Paese alla bancarotta. Diverse decine di morti e migliaia di feriti sono la tragica dimostrazione della morte dello Stato libanese. Proprio ieri il ministro degli Esteri del neo esecutivo si era dato alla fuga “per mancanza di volontà” dei suoi colleghi di salvare il Paese ormai fallito.
Anche gli abitanti di Beirut, sopravvissuti alla devastante esplosione di materiale chimico, o forse a due esplosioni di cui una da una nave, si sono dati alla fuga per paura della nube tossica. Ci sarebbe anche un militare italiano ferito ma non grave e altri in osservazione. I militari italiani che hanno assistito a questo terrificante evento, forse l’esplosione finora più forte in tempo di pace, fanno parte di un’unità del contingente italiano di stanza in Libano. I nostri soldati partecipano alla missione Unifil per assicurare la zona cuscinetto tra Libano e Israele, dopo le numerose guerre che li ha visti combattersi, l’ultima nel 2006.
E ISRAELE SI È SUBITO smarcato, mettendo le mani avanti a causa delle accuse incrociate volate sotto forma di missili e droni al di là del confine tra i due Stati perennemente in lotta. Gerusalemme ha anzi offerto aiuto al governo libanese.
Quando ci si domanda cosa succede in un Paese fallito, bisogna guardare a ciò che è accaduto a Beirut. In un Paese fallito può succedere che un deposito zeppo di materiale esplosivo, probabilmente chimico, confiscato anni fa, non venga tuttavia sequestrato, bensì lasciato del tutto incustodito. E che un giorno di un’estate di disperazione per l’imminente carestia, un deposito esploda come una bomba atomica devastando il porto della Capitale, unico cantiere ancora operativo per la crisi economica che ha definitivamente bloccato il Libano. Ma soprattutto succede che ancora una volta ci vadano di mezzo i libanesi, morendo a decine, e non la casta costituita dalle stesse famiglie che li governava ancora prima della guerra civile. Loro, glihariri, i Gemayel, gli Aoun, i Berry, più gli sciiti armati di Hezbollah guidati da Hassan Nasrallah hanno dimostrato di non avere la minima remora nell’appropriarsi della cosa pubblica deprivando la società e portandola infine alla fame nel Terzo millennio. E anche dopo questo disastro nessuno pagherà perché anche il governo è nel caos, così come gli ospedali di
Beirut e di tutto il paese dove le ambulanze fanno la spola senza sosta. La Croce Rossa non sa più dove portare le centinaia di feriti dall’esplosione di uno, per ora, sconosciuto materiale esplosivo che potrebbe essere estremamente inquinante, specialmente quando brucia. Un materiale esplosivo, “non esplosivi”, nel senso di materiale bellico, ha detto il ministero della Difesa, che però non ha spiegato come mai quel materiale fosse lì, tra i container del porto, tra gli ignari lavoratori che lo animano giorno e notte.
IL MINISTERO DELLA
Salute ha ordinato a chi vive nell’area del porto di rimanere in casa, ma molti non potrebbero uscire neanche volessero: decine e decine di persone sono ancora intrappolate sotto le macerie. Gli ospedali già messi in crisi dal Covid ora chiedono alla popolazione di accorrere per donare il sangue necessario per curare i feriti rimasti amputati.
In un paese fallito ed eterodiretto dal regime saudita e dal regime iraniano – che si fanno anche qui guerra per procura – può succedere che l’esercito regolare sia inesistente e non protegga né i cittadini né le proprietà, tantomeno i siti sensibili come quello dove sarebbe stato tenuto il materiale esplosivo. E può succedere che, invece, una milizia cresca al punto da diventare un vero e proprio esercito paramilitare finanziato da un altro paese: l’iran, per l’appunto.
E a proposito di Iran, inteso come protettore di Hezbollah che controlla de facto l’esecutivo, va notato che l’enorme doppia esplosione avviene ad appena tre giorni dal verdetto del tribunale speciale incaricato dall’onu di condurre le indagini sul micidiale attentato in cui quindici anni fa, sul lungomare di Beirut, venne assassinato l’ex premier Rafiq Hariri, e 21 altre persone. Sotto processo, in contumacia, ci sono quattro membri di Hezbollah, il potente movimento sciita filo-iraniano alleato di Damasco, e il 7 agosto la Corte, con sede all’aja, annuncerà se sono innocenti o colpevoli. Si tratta di un verdetto, a lungo atteso, ma anche temuto perché potenzialmente potrebbe scuotere di nuovo, dalle fondamenta, questo infelice Paese.
ATTENTATO? A GIORNI LA SENTENZA SULL’OMICIDIO DI HARIRI