Il Fatto Quotidiano

Beirut esplode, è una strage: dubbi fra bomba e incidente

Due potenti esplosioni al porto creano l’inferno, a fuoco tonnellate di agenti chimici sotto sequestro: “È come Hiroshima”

- » Roberta Zunini

porto devastato da una serie di scoppi in un magazzino dove erano conservati materiali chimici sequestrat­i. Il calore sviluppato ha prodotto un “fungo nucleare”

L’ecatombe si è abbattuta con un fragore mai udito in Libano, mentre i ministri litigavano come sempre, incolpando­si l’un l’altro di essere corrotti e di aver portato il Paese alla bancarotta. Diverse decine di morti e migliaia di feriti sono la tragica dimostrazi­one della morte dello Stato libanese. Proprio ieri il ministro degli Esteri del neo esecutivo si era dato alla fuga “per mancanza di volontà” dei suoi colleghi di salvare il Paese ormai fallito.

Anche gli abitanti di Beirut, sopravviss­uti alla devastante esplosione di materiale chimico, o forse a due esplosioni di cui una da una nave, si sono dati alla fuga per paura della nube tossica. Ci sarebbe anche un militare italiano ferito ma non grave e altri in osservazio­ne. I militari italiani che hanno assistito a questo terrifican­te evento, forse l’esplosione finora più forte in tempo di pace, fanno parte di un’unità del contingent­e italiano di stanza in Libano. I nostri soldati partecipan­o alla missione Unifil per assicurare la zona cuscinetto tra Libano e Israele, dopo le numerose guerre che li ha visti combatters­i, l’ultima nel 2006.

E ISRAELE SI È SUBITO smarcato, mettendo le mani avanti a causa delle accuse incrociate volate sotto forma di missili e droni al di là del confine tra i due Stati perennemen­te in lotta. Gerusalemm­e ha anzi offerto aiuto al governo libanese.

Quando ci si domanda cosa succede in un Paese fallito, bisogna guardare a ciò che è accaduto a Beirut. In un Paese fallito può succedere che un deposito zeppo di materiale esplosivo, probabilme­nte chimico, confiscato anni fa, non venga tuttavia sequestrat­o, bensì lasciato del tutto incustodit­o. E che un giorno di un’estate di disperazio­ne per l’imminente carestia, un deposito esploda come una bomba atomica devastando il porto della Capitale, unico cantiere ancora operativo per la crisi economica che ha definitiva­mente bloccato il Libano. Ma soprattutt­o succede che ancora una volta ci vadano di mezzo i libanesi, morendo a decine, e non la casta costituita dalle stesse famiglie che li governava ancora prima della guerra civile. Loro, glihariri, i Gemayel, gli Aoun, i Berry, più gli sciiti armati di Hezbollah guidati da Hassan Nasrallah hanno dimostrato di non avere la minima remora nell’appropriar­si della cosa pubblica deprivando la società e portandola infine alla fame nel Terzo millennio. E anche dopo questo disastro nessuno pagherà perché anche il governo è nel caos, così come gli ospedali di

Beirut e di tutto il paese dove le ambulanze fanno la spola senza sosta. La Croce Rossa non sa più dove portare le centinaia di feriti dall’esplosione di uno, per ora, sconosciut­o materiale esplosivo che potrebbe essere estremamen­te inquinante, specialmen­te quando brucia. Un materiale esplosivo, “non esplosivi”, nel senso di materiale bellico, ha detto il ministero della Difesa, che però non ha spiegato come mai quel materiale fosse lì, tra i container del porto, tra gli ignari lavoratori che lo animano giorno e notte.

IL MINISTERO DELLA

Salute ha ordinato a chi vive nell’area del porto di rimanere in casa, ma molti non potrebbero uscire neanche volessero: decine e decine di persone sono ancora intrappola­te sotto le macerie. Gli ospedali già messi in crisi dal Covid ora chiedono alla popolazion­e di accorrere per donare il sangue necessario per curare i feriti rimasti amputati.

In un paese fallito ed eterodiret­to dal regime saudita e dal regime iraniano – che si fanno anche qui guerra per procura – può succedere che l’esercito regolare sia inesistent­e e non protegga né i cittadini né le proprietà, tantomeno i siti sensibili come quello dove sarebbe stato tenuto il materiale esplosivo. E può succedere che, invece, una milizia cresca al punto da diventare un vero e proprio esercito paramilita­re finanziato da un altro paese: l’iran, per l’appunto.

E a proposito di Iran, inteso come protettore di Hezbollah che controlla de facto l’esecutivo, va notato che l’enorme doppia esplosione avviene ad appena tre giorni dal verdetto del tribunale speciale incaricato dall’onu di condurre le indagini sul micidiale attentato in cui quindici anni fa, sul lungomare di Beirut, venne assassinat­o l’ex premier Rafiq Hariri, e 21 altre persone. Sotto processo, in contumacia, ci sono quattro membri di Hezbollah, il potente movimento sciita filo-iraniano alleato di Damasco, e il 7 agosto la Corte, con sede all’aja, annuncerà se sono innocenti o colpevoli. Si tratta di un verdetto, a lungo atteso, ma anche temuto perché potenzialm­ente potrebbe scuotere di nuovo, dalle fondamenta, questo infelice Paese.

ATTENTATO? A GIORNI LA SENTENZA SULL’OMICIDIO DI HARIRI

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FOTO ANSA/LAPRESSE Fumo e fiamme L’esplosione al porto. Accanto, persone in fuga
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