Beni culturali Ripensare la tutela delle opere e la pena per chi le viola
GENTILE REDAZIONE, il triste episodio – avvenuto sabato 1 agosto 2020 – del danneggiamento del già restaurato, e quindi delicatissimo, modello originale della Paolina Borghese come Venere Vinci
trice della Gipsoteca canoviana di Possagno (TV) da parte di un improvvido turista, mette ancora una volta tutti noi, cittadini italiani, di fronte a uno dei molteplici aspetti di una situazione drammatica. Negli ultimi anni, diversi sono i momenti in cui il nostro fragile e prezioso patrimonio – istanza primaria della nostra identità plurale e straordinaria risorsa – è stato aggredito o incautamente avvicinato e intaccato. Senza esclusione di colpi. Da dentro e da fuori – difficile dimenticare la violenza perpetrata ai danni della fontana della Barcaccia a Roma del 19 febbraio 2015. Due sono i temi su cui mi auspico nasca presto un dibattito consapevole: la vigilanza/salvaguardia e la pena. Nel primo caso, come sul vostro quotidiano è stato ribadito, è necessario potenziare il personale qualificato ed estendere le azioni che permettono una vera applicazione del concetto di tutela. Nel secondo, oltre a rivedere l’art.733 del Codice penale e, forse, ad alzare consistentemente l’ammenda pecuniaria (attualmente non inferiore a euro 2.065) già prevista dal medesimo, bisogna che la certezza della pena, una volta provate le responsabilità, diventi un punto fermo. Non per punire, ma per educare al rispetto dei nostri tesori, alla cui distruzione non è più tollerabile assistere. Grazie.
STEFANO AGRESTI
CARO AGRESTI, i due punti che solleva sono essenziali. Sul primo, il ministero per i Beni culturali fatica a imporre alle varie fondazioni locali (come questa, saldamente in mano alla politica locale e trasformata in sinecura per il solito circo), religiose o private quei livelli minimi di personale che non riesce a garantire nemmeno nei suoi musei nazionali (colpa di una classe politica ostinatamente sorda alle esigenze della cultura: fondamentalmente perché incoltissima). Sul secondo, la revisione della parte penale del Codice dei Beni culturali è bloccata da anni perché altrimenti bisognerebbe anche incidere sui grandi interessi del mercato dell’arte, che conosce ampie zone di sconfinamento nell’illegalità. Dopodiché, finché pensiamo che sia sensato andare al Museo per guardarsi attraverso l’obiettivo del telefono e non per guardare le opere, nessuna sorveglianza basterà. Più che repressione, servono educazione, formazione, istruzione.
TOMASO MONTANARI