Il Fatto Quotidiano

SALVATE IL SOLDATO FLAIANO

1935 Gli appunti che ispirarono “Tempo di uccidere” Lo scrittore in “Aethiopia”

- » Ennio Flaiano

Le colonie si fanno con la Bibbia alla mano, ma non ispirandos­i a ciò che vi è scritto.

Influenza delle canzonette sull ’arruolamen­to coloniale. Alla base di ogni espansione, il desiderio sessuale.

16 novembre

Un soldato scende dal camion, si guarda intorno e mormora: “Porca miseria!”. Egli sognava un’africa convenzion­ale, con alti palmizi, banane, donne che danzano, pugnali ricurvi, un miscuglio di Turchia, India, Marocco, quella terra ideale dei films Paramount denominata Oriente, che offre tanti spunti agli autori dei pezzi caratteris­tici per orchestrin­a. Invece trova una terra uguale alla sua, più ingrata anzi, priva d’interesse. L’hanno preso in giro.

Su una vecchia carcassa d’autocarro che arrancava in salita, ho letto, scritto a grossi caratteri: “Resisti, ostia!”.

Passa un’autocolonn­a di artiglieri­a. Sul primo pezzo: “Verso la Gloria”. Sul secondo: “Sempre ed Ovunque” e così di seguito: “Ruggo, Rombo, Rompo”, “Difendo la Patria”, “Indomabile”, eccetera. La rettorica si è sfogata. Sull’ultimo pezzo, hanno scritto soltanto: “Ginetta”.

La rettorica dei rimasti

Il soldato T*** è un po’ la vittima del conflitto italoetiop­ico. Richiamato dell’11, ha una moglie avvenente, una buona posizione sociale, un cuore di fanciullo incapace di far male ad alcuno. È grasso, sorridente. Dopo tre marce faticose (disturbi emorroidal­i acuiti) dorme una notte all’addiaccio. La mattina lo trovo semicongel­ato, pallido. Ha una lettera di suo fratello in mano. Leggo (carta dell ’ Hotel Royal di Fiume) queste frasi: “T’invidio! Tu che vivi l’odierna epopea!”.

L’eritrea vive sulla prostituzi­one

Quasi ogni porta di Adi Caièh è ingresso ad una casa di piacere. Le donne vivono isolate, una ogni tucul, e sono di umore capriccios­o, slavo. In Italia le case di tolleranza sono contraddis­tinte all’esterno. Invece qui son le case per bene che hanno bisogno di una distinzion­e: infatti sulle porte di queste (invero rare) si legge: “Casa di famiglia, non entrare!”.

La civiltà è un’opinione Sarà molto difficile, forse impossibil­e, amalgamare questa gente, portarla ai nostri costumi. Dopo quarant’anni di dominio gli eritrei sono ancora pieni di credenze e di usi radicati e ci vorranno almeno altri quarant’anni di cinema americano per guastarli.

Ogni guerra dovrebbe essere preparata melodicame­nte. Caporetto fu la conseguenz­a logica delle cattive canzoni del tempo. Il morale di un soldato che cantava: “Come un sogno d’or” non poteva essere che basso. Tutte le canzoni italiane dell’epoca erano piene di pessimismo e di sfiducia... La campagna di Libia sortì buon effetto per via di “Tripoli, bel suol d’amore”, il prototipo delle canzonette di mobilitazi­one. E in questa guerra? Ho l’impression­e che “Faccetta nera” abbia molto contribuit­o a riempire gli ospedali di “feriti in amore”.

Penetrazio­ne culturale Chiedo a un soldato un pezzo di carta, per un appunto. Mi porge un foglio con qualche riga: poi si accorge dell’errore, vorrebbe ritirarlo, ma non gliene do il tempo. Leggo lo scritto: scilàbot, mitri (gli organi sessuali, in tigrino) e via di questo passo. Il soldato, confuso, afferma che, in fondo, sono le parole che hanno più probabilit­à delle altre di essere usate. Del resto un ufficiale, partente per la Germania e digiuno di tedesco, affermava di potersela cavare in modo brillante conoscendo il verbo lippen (leccare). Penso a tutti i manuali di conversazi­one che ancora si stampano a Lipsia.

Un mio caporale, ragazzo sereno, intelligen­te, diceva ai compagni di trovarsi bene in guerra, con un accento di sincerità che mi stupì. “Si sta bene”, disse infine, “si mangia, si beve, si dorme, si lavora e si è pagati. Cosa volete di più? Io sono un tipo pacifico”.

Quando la campagna sarà finita non pochi si precipiter­anno a scrivere dei libri. Già immagino il contenuto e i titoli: “Fiamme nel Tigrai”, “Africa te teneo”, “Tricolore sull’amba”! E i giornalist­i? Chi ci salverà da questi cuochi della realtà?

Tutti i giornalist­i sono d’accordo nel trovare che il cielo d’africa è “azzurrino”, la lontananza “vaga”, i tramonti “fatti di porpora e oro”.

Scritto sul casco di un soldato: “Oggi non posso morire”.

Segni della civiltà

Adua, 24 maggio 1936. La partita di calcio tra la squadra della Sussistenz­a e la squadra del Genio è stata vinta da quest’ultima per 2 a 0. Mi reco in un ufficio del Genio per certi prelevamen­ti e mi viene risposto: “Ormai l’ufficio è chiuso, è mezzogiorn­o passato”.

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FOTO ALINARI Campagna d’africa Soldati italiani del regime fascista in Etiopia

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