Che Mann sfortunata: una famiglia di autori, lacrime e sangue
Le liti tra fratelli, la depressione dei figli
Litigano ferocemente già nel 1900, quando Heinrich dà alle stampe la sua trilogia orgiastica: tutti quei “seni”, quei “polpacci”, quelle “c os ce ”!, lo rimprovera Thomas in una lettera. E tutto quel “fare l’amore” (in italiano nel testo), laddove l’espressione è da intendersi carica di disprezzo. Heinrich Mann fa lo scrittore e ha in mente di inaugurare una nuova forma letteraria in cui l’eros sia soppiantato dal sesso e l’ironia dalla satira. “L’ironia è erotismo”, non si stancherà di ripetere Thomas nelle Considerazioni di un impolitico (è ciò che apprende da Nietzsche). Il rapporto tra vita e spirito, per lui, è delicato ed eccitante; non ammette “cadute di stile”.
“Sesso? Una cosa terribilmente semplice”, sostiene Heinrich, che di lì a poco scriverà Il professor Unrat (in tedesco, unrat significa “spazzatura”), da cui Joseph von Sternberg trarrà L’ANgelo azzurro con Marlene Dietrich. Per Thomas non esiste il sesso: esiste lo sguardo, il gesto, il contatto ritardato che fa fremere le pagine. Ne La morte a Venezia, storia del fatale incanto erotico del professor Aschenbach per l’adolescente Tadzio, lo dice esplicitamente: “Niente è più singolare, più imbarazzante che il rapporto tra due persone che si conoscono solo attraverso gli occhi… c ostretti dall’educazione o dalla bizzarria a fingere indifferenza e a passarsi accanto come estranei, senza saluto né parola. Fra di loro c’è inquietudine ed esasperata curiosità, l’isteria di un bisogno insoddisfatto e una sorta di ansiosa attenzione”. E che altro è se non eros, ne La montagna incantata , quel febbrile cercarsi con gli occhi e non parlarsi tra Hans Castorp e la russa Madame Chauchat, a cui il giovane riuscirà dopo centinaia di pagine a chiedere (in francese, la lingua del sogno) una matita, sussurrandole la frase più erotica di tutti i tempi (“Lasciami toccare devotamente con la bocca la tua arteria femorale”)?
Nel 1910, nonostante il suicidio della sorella minore Carla, attrice di poco talento, i due litigano di nuovo. Non è solo questione di stile: l’eros è politica. Lo sa bene Thomas, che una notte, dopo aver parlato con Heinrich di Hitler (“Professor Spazzatura” per antonomasia), sogna di lasciar mangiare al fratello un’intera quantità di pasticcini alla crema, rinunciando alla sua parte, e si sveglia in preda all’angoscia. Provano a soggiornare insieme a Palestrina, nella campagna romana, dove Heinrich gode della genuinità bucolica scrivendo fiabe mentre Thomas, scontento, scrive I Buddenbrook. E proprio nella casa di Palestrina, più precisamente nel salotto in cui era solito conversare con Heinrich, Thomas farà comparire il diavolo davanti al protagonista del Doctor Faustus. Nel 1927 anche la sorella Lula muore suicida, impiccata. Sia lei che Carla, trasfigurate in personaggi patetici, finiranno nelle opere dei fratelli.
Intorno ai 25 anni Thomas aveva avuto la sua prima esperienza omoerotica, col violinista Paul Ehrenberg, modello angelico-diabolico di tutti i futuri Tadzio. Ma quando suo figlio Klaus detto Eissy diviene adolescente le cose si complicano. “Tr o v o molto naturale che io mi innamori di mio figlio... Eissy steso sul letto a leggere, nudo e abbronzato nella parte superiore del corpo, cosa che mi ha turbato... Pare che per me sia proprio finita con le donne”. Questo “incesto mentale” spargerà il suo alone di tragedia sui Mann per gli anni a venire, quelli del nazismo.
Erika e Klaus, “quasi gemelli” dei 6 figli che Thomas ha avuto con la moglie Katia, girano il mondo con una compagnia teatrale anti-nazista. Intrattengono col padre una corrispondenza fitta sebbene fredda per il temperamento di lui, chiamato Mago perché durante una festa si vestì da mago per far ridere i bambini. Erika gli rimprovera di non essersi pronunciato contro il nazismo, di essere legato al suo editore tedesco filonazista, di aver sabotato i progetti letterari di Klaus, “colpito alle spalle in misura ben più grave di quanto non abbia saputo fare un qualsiasi nazista nella sua idiota rozzezza”. Lui si difende così: “Non sono io stesso ad agire, non è una cosa mia, ma è una cosa che proviene da me”.
Nella storia di Klaus c’è una trama di profonda tristezza. Sul suo capo pesa il destino di incarnare ciò che suo padre non ha il coraggio di essere (apertamente omosessuale) e ciò che lui non potrebbe mai essere: uno scrittore più grande di suo padre. Teso tra la rigida, titanica aura borghese di padre e marito e un’eccitabilità raffinata risolta esteticamente, Thomas lascia che il fulmine entri nella sua famiglia. Klaus è insieme figlio da sacrificare e carne da sublimazione. C’è un passo raggelante di una lettera che il Mago scrive a Erika: “Questo Klaus (Klaus Heuser, figlio 17enne del direttore dell’accademia di Belle Arti di Düsseldorf, ndr), a differenza di ‘ quel Klaus’, voglio dire Eissy… Gli do del tu e, al momento del commiato, l’ho stretto forte al mio cuore con il suo espresso consenso. Eissy è intimato a ritirarsi in buon ordine di sua volontà e a non interferire nelle mie sfere. Sono già vecchio e famoso, perché solo a voi dovrebbe essere consentito di peccare?”. Erika riesce ad allontanare dal giovane il fratello, che china la testa sul ceppo per concedere al gelido demiurgo, genio posseduto dal cerebrale, lo svago e la parvenza d’amore che merita.
Klaus morirà suicida a Cannes nel 1949. Thomas e Katia sono in Svezia. La madre scrive a Erika tutto il suo dolore. Thomas si limita a un post scriptum: “Il povero Supermago è anche in condizione di associarsi. È riuscito da bravo a farcela, anche se spesso non sapeva bene se ridere o piangere”.
TRAGEDIE Heinrich e Thomas si detestano, le sorelle si suicidano, il nipote pure