Incubo Toscana: qui Zinga e Salvini si giocano il futuro
REGIONE ROSSA Se la Ceccardi perde, il capo leghista sarà oscurato da Zaia e Meloni. Una sua vittoria, invece, provocherà il Big Bang del Pd
Se non è l’armageddon, poco ci manca. La partita della Toscana non riguarda più solo il mito della regione rossa e la frattura – condita da una buona dose di campanilismo – tra il centro (la “ricca” Firenze) e la periferia (la “povera” costa). Alle elezioni regionali di domenica, in ballo c’è molto di più: il futuro politico di Nicola Zingaretti e Matteo Salvini. La Toscana ormai è la cornice, la leadership del segretario Pd e di quello leghista il quadro. “Zinga” vuole respingere lo scalpo, già annunciato, di Stefano Bonaccini in caso di sconfitta nell’ultima regione rossa d’italia, mentre Salvini sogna la “liberazione” della Toscana dopo “cinquant'anni di governi comunisti” intestandosi l’unica possibile vittoria alle regionali contro il probabile cappotto di Luca Zaia in Veneto e di Giorgia Meloni che ha piazzato Francesco Acquaroli e Raffaele Fitto nelle Marche e in Puglia. Due partite che si incrociano, inesorabilmente, con il futuro del governo Conte che, in caso di sconfitta in Toscana, potrebbe anche traballare. E allora sia Zingaretti sia Salvini tra oggi e domani sbarcano in regione per il
tour de force finale della campagna elettorale: il leader del Pd solo oggi farà tappa a Viareggio, Pisa, Livorno, Lucca e Pistoia con chiusura domani a Firenze, mentre il leader leghista arriverà domani partendo per la costa (da Pisa a Carrara) fino al comizio finale con Giorgia Meloni e Antonio Tajani in piazza della Signoria a Firenze.
DOPO UNA PRIMA
fase sulla difensiva, adesso Zingaretti gioca all’attacco presidiando il territorio. “Nicola ha capito che in Toscana si gioca la faccia, per non dire qualcos’altro” dice a mezza bocca un alto dirigente dem. Al quinto piano di via Forlanini a Firenze, sede del Pd toscano, sono ore concitate: l’arroccamento dei mesi estivi, i caminetti delle correnti, la composizione delle liste con le guerre fratricide tra Lotti e Nardella e le trattative per uno strapuntino nella futura giunta sembrano ormai un lontano ricordo. Da qualche giorno Zingaretti ha mandato dal Nazareno due suoi fedelissimi, il coordinatore politico del Pd Nicola Oddati e il responsabile comunicazione nazionale Marco Furfaro, per raddrizzare la campagna elettorale di Eugenio Giani e resistere all’assalto della leghista Susanna Ceccardi. I due hanno istituito un gabinetto di guerra in via Forlanini dove ogni giorno si confrontano con la segretaria Simona Bonafè e il vicesegretario Valerio Fabiani. La strategia degli ultimi due giorni di campagna elettorale è chiara: andare nelle piazze e nei mercati delle città sulla costa – soprattutto Massa Carrara, Viareggio, Pisa e Livorno – per mobilitare il vecchio elettorato di sinistra non entusiasta di un candidato debole come Giani “agitando la paura dei fascisti alle porte”. Anche a costo di “prenderci qualche vaffa” è la comunicazione fatta arrivare nelle chat a militanti e candidati. In ballo ci sono 10mila voti decisivi per la vittoria finale. Dal punto di vista della comunicazione, i dem hanno assoldato l’ex filmmaker di Barack Obama e guru della campagna elettorale di Bernie Sanders, Arun Chaudhary, che sta sponsorizzando i candidati migliori sui social e nelle piazze: tra questi c’è l’ex consigliera regionale Alessandra Nardini, lo studente Iacopo Melio e, sorpresa, il sindaco di Rignano sull’arno (ex amico dei Renzi) Daniele Lorenzini che si candida in una lista in sostegno a Giani.
MATTEO SALVINI
invece sta girando le piazze toscane insieme alla zarina Ceccardi da inizio agosto, da quando ha preso casa a Forte dei Marmi. Poche le sue apparizioni in altre regioni, Marche e Puglia, e iperpresenzialismo in Toscana, l’unica regione in cui il leader del Carroccio ha candidato una propria fedelissima. Tutto senza commettere gli stessi errori che hanno portato alla sconfitta in Emilia: la nazionalizzazione del voto (“Se vinciamo in Toscana non chiederò le dimissioni di Conte” va dicendo) e coup de théâtrecome quella del citofono. Tant’è che nei giorni scorsi, Salvini ha rinunciato a lanciarsi dal paracadute ad Arezzo: la leadership della Lega vale più di un atterraggio pirotecnico.
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