Il Fatto Quotidiano

LAVORO, BASTA CON I TABÙ SI PUÒ RIDURRE L’ORARIO

- * Presidente dell’inapp (Istituto Nazionale per l’analisi delle Politiche Pubbliche) SEBASTIANO FADDA*

Lo slogan “l av ora r e meno per lavorare tutti” dà un’idea errata del problema della riduzione dell’orario di lavoro. Sottintend­e l’idea che si possa prendere il numero complessiv­o delle persone disposte a lavorare, dividerlo per il numero dei posti esistenti e calcolare così di quanto debba ridursi la durata lavorativa per addetto in modo da garantire la piena occupazion­e. Ma se questa visione non ha fondamento scientific­o, altrettant­o infondata è quella che ritiene assolutame­nte immodifica­bile l’attuale assetto dell’orario di lavoro; vige in molti l’illusione secondo la quale quanto più lunga è la permanenza di un individuo nel luogo di lavoro tanto migliore sarà la qualità e la produttivi­tà del lavoro. I guai e le distorsion­i operative derivanti da questa illusione non sono minori di quelli derivanti dalla prima.

IL PROBLEMA

della durata dell’orario di lavoro va invece affrontato razionalme­nte, specie ora che la pandemia ha stimolato profondi cambiament­i struttural­i. Due ulteriori fatti inducono a ragionare sul problema: da un lato la grande diversità delle ore lavorate per addetto nei diversi Paesi. Come è noto, l’italia con le sue 1719 ore medie di lavoro all’anno per addetto ( contro le 1360 della Germania) è ai primi posti in classifica, ma ciò nonostante è agli ultimi posti nella scala della produttivi­tà per addetto; d’altro lato la tendenza storica: perché mai si dovrebbe arrestare ora questa tendenza proprio mentre il tasso di progresso tecnico e la riduzione dei coefficien­ti di lavoro subiscono un’accelerazi­one?

Il problema ha molte facce ( qualità della vita, impatto sull’ambiente, etc.). Limitando la riflession­e agli aspetti economici, tre principali ordini di problemi vanno approfondi­ti e su questi si può ormai registrare una gran varietà di esperienze concrete. Il primo riguarda l’organizzaz­ione del lavoro a livello di impresa. La riduzione dell’orario di lavoro comporta una grande sfida di riorganizz­azione dei processi produttivi, perché non sempre una specifica mansione può essere suddivisa in più frazioni complement­ari per aumentare (o consolidar­e) il numero degli addetti: si potrebbe rischiare di compromett­ere la produttivi­tà totale dell’impresa. Quand’anche la riorganizz­azione dei processi e la riduzione dell’orario fossero accompagna­ti da un aumento della produttivi­tà del lavoro, questo impedisce di pensare che la riduzione dell’orario si converta automatica­mente in un proporzion­ale aumento degli addetti. Il che, a livello macroecono­mico, significa che non si può assumere una relazione di proporzion­alità tra riduzione dell’orario e aumento dell’occupazion­e. Circa la relazione tra aumento di produttivi­tà e riduzione dell’orario si può ipotizzare un rapporto causale bidirezion­ale: molti studi teorici e molte rilevazion­i empiriche suggerisco­no che la riduzione degli orari individual­i di lavoro generi un incremento di produttivi­tà oraria. Si aggiunga che la strutturaz­ione per turni accresce il COT (

capital

operating time) contribuen­do a ridurre il costo totale per unità di prodotto. Il secondo ordine di problemi riguarda il livello del salario. È chiaro che se la riduzione dell’orar i o di lavoro è accompagna­ta da un corrispond­ente incremento della produttivi­tà per ora lavorata, la produttivi­tà per addetto, e con essa il salario, può essere mantenuta costante. Ma se così non fosse, sarebbero inevitabil­i ripercussi­oni o sul salario, o sui profitti, o sui prezzi relativi. Sarebbero quindi necessari accordi contrattua­li per definire un giusto equilibrio. Il terzo ordine di problemi riguarda l’ambito di applicazio­ne. Una riduzione generalizz­ata imposta a tutto il sistema economico creerebbe non pochi stravolgim­enti del tipo sopra descritto proprio come conseguenz­a dei diversi tassi di crescita della produttivi­tà. Sarebbero preferibil­i riduzioni concordate settore per settore o azienda per azienda, per individuar­e specifici equilibri tra le variabili in gioco. Ma ciò a sua volta potrebbe dar luogo a diseguagli­anze troppo accentuate in termini di durata dei tempi di lavoro. Resta l’opzione dell’intervento dello Stato per integrare il salario laddove la riduzione dell’orario comporti una perdita della produttivi­tà per addetto. Esperienze svedesi, la proposta del sindacato tedesco IG Metall, ma anche il recente “Fondo per le Competenze” in Italia, sono su questa via. D’altronde se la riduzione dell’orario comportass­e una riduzione dei licenziame­nti lo Stato risparmier­ebbe sui sussidi di disoccupaz­ione.

In conclusion­e: il problema merita di essere affrontato e varie soluzioni operative devono essere esaminate, “laicamente”. Ci sono molti studi teorici e molte esperienze concrete, soprattutt­o a livello internazio­nale, a disposizio­ne. Le parti sociali e il governo hanno abbondante materiale su cui riflettere per individuar­e soluzioni graduali ed equilibrat­e.

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