Bannon ritorna con due società contro Pechino
The Movement diventa 70 Nations E poi i rapporti con lo strano tycoon cinese Guo Wengui e le due fondazioni: tutto all’ombra del Dragone Che fine ha fatto l’ex ideologo di Trump
Nellalussuosa v i l l a a Wa te rmael-boitsfort, piccolo comune alle porte di Bruxelles, Steve Bannon è ormai un nome dimenticato. Qui, al numero 42 di Avenue du Houx, nello studio dell ’avvocato Mischaël Modrikamen, il 9 gennaio 2017 era nato “The Movement”, l’armata bianca guidata dell’ex stratega di Donald Trump che prometteva di cambiare l’europa e il mondo. “Vi daremo dati, analisi, cabine di regia”, assicurava il consulente venuto dagli Usa con in testa il progetto di unire tutte le forze della destra europea. Aderirono con entusiasmo Matteo Salvini e Giorgiameloni, attratti dall’eloquio sovranista e identitario. Dopo i lunghi tour del 2018 in Europa, con una speciale affezione per Roma, guardando al Vaticano, e l’italia, Steve Bannon è sparito, almeno apparentemente, dai palchi e dai salotti della destra. Ha lasciato il fido Benjamin Harnwell a presidiare il convento di Trisulti da solo, rimandando a tempi migliori la famosa scuola dei gladiatori.
A MAGGIO IL CAMBIO DI NOME DAVANTI AL NOTAIO
“The Movement”, nel frattempo, ha cambiato nome, come Il Fatto ha potuto ricostruire. Il 27 maggio 2020, in piena pandemia, davanti al notaio belga Gérard Indekeu, Mischaël Modrikamen, Laure Ferrari e Yasmine Dehaene – fondatori dell’associazione – hanno firmato un atto con la nuova denominazione, “70 nations”. Un riferimento biblico ai 70 discendenti di Noè dopo il Diluvio universale. Il board e l’indirizzo – la villa quartier generale dell’avvocato belga – rimangono gli stessi.
Con lo stesso atto, “T he Movement ” ha inglobato le due cassaforti del partito popolare belga (sigla che ha perso l’ultimo e unico eletto lo scorso anno). Le fondazioni “Financement public du PP” e “Fondation populaire” – guidate dallo stesso Modrikamen – hanno versato tutti i loro asset all’interno di “70 nations”. Carriera politica finita, ha spiegato ai media belgi l’avvocato già partner di Bannon, tornato alla professione forense.
Esperienza europea dunque conclusa per Steve? Non proprio. Il primo ottobre scorso, davanti alla Chiesa di Santa Maria Maggiore, nel cuore del quartiere Esquilino a Roma, una trentina di cinesi hanno allestito un piccolo palco. L’area delimitata con le strisce bianche e rosse, le mascherine sui volti e tutti i partecipanti in felpa blu, con due ovali di stelle gialle che si intersecano, scimiottando la bandiera europea. E una sigla fino a quel momento sconosciuta in Italia e in Europa, “The New Federal State of C hina”. Hanno un nemico giurato, il Partito comunista cinese e il governo di Pechino. Sul palco, dopo i primi interventi di un gruppo no-mask, sale Giuliano Castellino. Indossa il cappello blu d’ordinanza, parla della “dittatura sanitaria”: “Negli ultimi mesi noi italiani e noi europei stiamo assistendo a una alleanza pericolosissima, tra il Partito comunista cinese e alcune organizzazioni sovranazionali, come l’oms, e con personaggi come Soros e Bill Gates”.
L’evento è stato organizzato dall’associazione “Himalaya Italy”. È parte di un network partito dagli Stati Uniti, che in Europa era già apparso in due manifestazioni, a Monaco e Parigi. Il “The New Federal State of China” – autoproclamatosi governo ombra in esilio – ha dietro di sé il nome del ty c o on cinese Guo Wengui e del suo nuovo spin
doctor, Steve Bannon.
L’ULTIMA PASSIONE DI STEVE: L’AMICO CINESE
Guo Wengui non è un imprenditore semplice da capire. Difficile conoscere la sua vera età: 50 anni, o forse 51. Oppure 49, dipende dalla data di nascita dichiarata. Complicato anche scoprire il suo vero nome. Guo Wengui, in alcuni documenti. Kwok Howan, in altri. Lasciata la Cina è diventato Miles Kwok, il nome che usa negli Stati Uniti. “Quando mi sono trasferito a Hong Kong è cambiata la pronuncia e poi ho iniziato a fare affari a livello internazionale e ho preso un nome inglese”, ha spiegato in una deposizione davanti al Tribunale della East Virginia. Si dichiara consulente della Guo Media, gruppo che si definisce “una piattaforma anti Partito comunista cinese”. Difficile capire anche il suo lavoro: “Attualmente lei ha un’occupazione?”, ha chiesto un avvocato durante un suo interrogatorio il 4 giugno del 2019 durante una causa civile. “No”, la risposta secca. “E come paga le bollette?”, gli è stato chiesto durante l’udienza. “Prendo in prestito dei soldi dai miei amici”.
Il misterioso imprenditore divide la comunità cinese sparsa nel mondo. Per qualcuno è un nuovo messia, arrivato sulla terra per salvare la Cina. Per altri è una spia legata al regime di Pechino. E mentre annunciava in Europa il verbo di The Movement, Steve Bannon aveva già in tasca l’alleanza con l’enigmatico Guo Wengui. Secondo i media Usa, infatti, i due si sarebbero conosciuti già nel 2017, subito dopo l’uscita dell’ex stratega di Trump dalla Casa Bianca.
Nel 2018 la società con sede in Delaware Saraca Media Group (che detiene i marchi comunicativi di Wengui) ha offerto un contratto di consulenza a Bannon, per un milione di dollari. Per sostenere la campagna anti partito comunista cinese – obiettivo dichiarato della coppia Guo/steve – sono nate due fondazioni, la Ru
le of Law Society IV e la Rule of Law Foundation.
Il piccolo impero fatto di società offshore e fondazioni per ora ha messo in piedi due operazioni di comunicazione. La principale è il podcast di Steve Bannon, War Room, da mesi concentrato sulla pandemia Covid, in funzione anticinese. Funzionale alla campagna è stata anche la pubblicazione, il 14 settembre scorso, di un report firmato dalla ricercatrice cinese Li-meng Yan e sostenuto dalle due fondazioni “Rule of Law”, che cerca di dimostrare l’origine artificiale, da laboratorio, del virus Sarscov2. C’è qualcosa che però non torna nel nuovo progetto politico e comunicativo di Bannon e Wengui. I canali Youtube che diffondono il verbo anti Pechino hanno pochissime visualizzazioni. I video di “Himalaya Italy ” a malapena raggiungono quota cento. La sensazione è quella di una Tigre di carta. Mentre l’fbi – ha raccontato il Wall Street Journal
– da qualche mese starebbe indagando sull’impero del
cinese. tycoon
Sono pronto a resistere tutto il tempo necessario e continuerò a combattere
Steve Bannon