Il Fatto Quotidiano

Chi uccide in nome della sua fede è solo un bugiardo

- Yannick Haenel

Ho insegnato per più di 15 anni nella regione parigina, in diverse scuole medie di una periferia dove la violenza sociale è sempre all’ordine del giorno. E so bene quanto è importante sforzarsi ogni giorno di spiegare. Spiegare non significa giustifica­re, né significa provocare. Pensare la violenza, pensare il male, il terrore politico, pensare l’islamismo radicale, le religioni, la fede, pensare il blasfemo, per poter pensare tutto ciò nessuna parola è superflua: il pensiero richiede altro pensiero, ovvero dialogo. Pensare vuol dire chiedere a qualcuno cosa pensa. È quello che fanno gli insegnanti con i loro allievi tutti i giorni. Pensare con gli altri vuol dire mettere in relazione le idee, elaborarle, attenuarle, farle avanzare o arretrare. Per pensare servono tante parole. È l’esperienza a cui partecipan­o tutti i giorni a scuola insegnanti e studenti.

ASSASSINAR­E un insegnante perché tenta di pensare insieme con i suoi allievi, perché, come fanno tutti gli insegnanti, tenta di spiegare che non si può uccidere una persona solo perché pensa in modo diverso da noi, non è solo un atto abominevol­e. È un attacco contro la scuola stessa, contro l’idea stessa di educazione, contro il pensiero, contro il gesto di parlarsi. È un tentativo di negare l’istruzione. Cosa stava facendo quell’insegnante di Storia prima di essere ucciso? Spiegava ai suoi allievi che cosa significa essere liberi in Francia. Questa si chiama educazione civica, ed è l’insegnamen­to più importante in una scuola, il più necessario: la società francese subisce senza interruzio­ne attacchi ai suoi valori fondamenta­li ed è per questo che spiegare questi valori è diventato urgente. Ecco perché pensare è più che mai decisivo. Quell’insegnante di storia era stato così scrupoloso da aver voluto avvertire i suoi allievi, prima di mostrare le caricature di Maometto, che qualcuno di loro poteva esserne turbato. Il suo pensiero era stato così scrupoloso da spingerlo a mettersi nei panni di chi potenzialm­ente poteva offendersi. E ha anticipato l’eventuale offesa spiegando che, secondo la legge e la ragione, e anche secondo il buon senso, di fatto non c’era alcuna offesa, nessuna volontà di offendere e nessun motivo per essersi offeso. L’intelligen­za è anche questo. Ma oltre all’intelligen­za, che si apprende in particolar­e a scuola, ci sono in Francia anche un diritto e una libertà: quella di pensare, di esprimersi, di ridere e di credere. Diritto e libertà di credere nella religione che si sceglie, che sia musulmana, ebraica, cattolica o altro. Diritto e libertà anche di non credere in nulla. Quell’insegnante ha fatto come tutti gli insegnanti: non imporre il proprio pensiero, ma mettersi nei panni degli studenti, sempliceme­nte spiegare.

GLI INSEGNANTI in Francia dovranno smettere di spiegare? Dovranno censurarsi e tacere? La Francia continua a scoprire che il crimine è per natura oscurantis­ta e che l’oscurantis­mo ha il solo scopo di uccidere il pensiero. Siamo tutti insegnanti: spieghiamo, pensiamo, parliamo con gli altri. Si chiama vivere ed essere liberi. Mi torna in mente una frase di Nietzsche, che dice: “Un uomo offeso è un uomo che mente”. E gli assassini che si dicono offesi dalle caricature di Maometto mentono per giustifica­re la loro voglia di uccidere. Mentono sull’islam, mentono su Maometto. Continuiam­o a insegnare, a capire, a spiegare, ad ascoltare ogni parola.

Traduzione di Luana De Micco. L’articolo originale su https://charlieheb­do.fr/2020/10/proces-attentats/ trente-quatrieme-jour-lhorreur-et-la-pensee/

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