Il Fatto Quotidiano

“Ho rischiato tutto per Fantastico e donne lombrico”

Dario Cassini Attore e comico tra i protagonis­ti de “I predatori”, film premiato a Venezia 2020

- » Alessandro Ferrucci

ICassini sono tre. Riccardo è uno dei più apprezzati autori televisivi. Marco ha fondato la casa editrice Minimum fax. Dario è cabarettis­ta e attore. E quando c’è Dario Cassini, si ha la vaga sensazione di avere di fronte un trino; con lui ogni domanda prevede un inizio di risposta, una divagazion­e, un’altra divagazion­e, un’associazio­ne d’idee, un ricordo, una battuta, magari una barzellett­a collegata alla battuta, una provocazio­ne, un suo interrogat­ivo (“perché, lei cosa rispondere­bbe?”) e la conclusion­e della risposta. Nel frattempo, come se non bastasse, passa l’aspirapolv­ere, pensa al figlio di cinque anni e riflette sulle proprietà taumaturgi­che del cibo (“e sono migliorato: a cinquant’ anni lo psicologo mi ha insegnato ad ascoltare”). Gioca d’anticipo.

Ama il controllo su ciò che accade, butta il peperoncin­o negli occhi dell’ interlocut­ore, difende la privacy di un ragazzo diventato presto orfano, poi sradicato danapoli (“a 13 anni mamma decise di portarci a Roma”) e cresciuto con uno zio speciale, Dino Verde.

È tra i protagonis­ti de I predatori , film premiato a Venezia, opera prima di Pietro Castellitt­o.

Interpreta il medico, come suo padre.

E gli italiani devono ringraziar­e il caso se nessuno dei tre fratelli ha seguito le sue orme; (sorride) io con in mano un bisturi, mi vengono i brividi per il paziente.

Diretto da un esordiente. Il sangue è il sangue, e sul citofono di questo ragazzo c’è scritto Mazzantini e Castellitt­o; lui a 22 anni ha scritto un copione politico straordina­rio, di una profondità rara, e per fortuna ha incontrato “San” Domenico Procacci: in Italia è il solo a offrire una possibilit­à ai giovani. Nel film c’è Massimo Popolizio.

Il numero uno in assoluto, e mi ha salvato la vita già al primo ciak, quando all’ennesima ripresa non si è scomposto davanti a un mio errore di battuta, ma ha improvvisa­to.

Nel film lei è lo stronzo.

(Sorride) A volte son ostato peggio; comunque io vivo di teatro, di television­e e di libri; oddio i libri oramai sono la parte residuale: l’8 per mille lo assegnerei ai librai.

Torniamo al cattivo.

Ero peggio in Cemento armato, e lì ho avuto la fortuna di conoscere Giorgio Faletti e sua moglie Roberta; durante la prima, a Roma, una giornalist­a chiese a me, seduto accanto a lui, com’era la sensazione di un comico alle prese con un ruolo drammatico.

E...

Giorgio intervenne: “Qui il cattivo sono io, Cassini fa la merda. Che è diverso”.

Faletti un suo mito?

(Tono grave) Perché il suo no? Quanti anni ha? Ho appena aperto una bottiglia di Amarone e ho finito di passare la vaporetta; ( sospiro) Giorgio è un punto importante, amico di una generosità rara, disponibil­e a consigli e confidenze. È stato lui a svelarmi i segreti per costruire un giallo, e adesso ne sto scrivendo uno con l’aiuto di mio fratello Marco e la supervisio­ne di Roberta.

Lei da piccolo.

Volevo essere Freddie Mercury ma etero, eppure da giovincell­o non avevo accesso al giradischi: mio fratello mi brutalizza­va.

Con ragione?

Riccardo aveva la giurisdizi­one sull’impianto stereo e l’acquario, un acquario enorme; un giorno mi chiese di seguire l’alimentazi­one dei pesci, e io versai l’inchiostro; si salvò solo un piranha cattivissi­mo.

Cosa vuol dire essere napoletano?

Chi tene ’o mare s’accorge ’e tutto chello che succede, diceva Daniele Giuseppe in arte Pino.

Conosciuto?

Per lui sono partito con Riccardo a bordo di una 2 Cavalli, destinazio­ne Perugia e solo per vedere le prove; lì scoprii un assoluto: Pino Daniele possedeva una serie di doti straordina­rie, meno il senso dell’umorismo.

Resta un suo mito. Insieme a Maradona, la pizza, la mozzarella e il caffè; e non voglio sentir parlare di mozzarella buona, fuori dal pentagono Caianello, Capua, Teano, Mondragone e Aversa.

Fuori non è mozzarella.

( Silenzio) Questa pausa è per la disapprova­zione. ( Altra pausa, e inizia a parlare dei Maya).

Torniamo a prima.

La storia dei Maya è bella. È considerat­o un s ex

symbol .

Anni fa ero l’equivalent­e di una bella donna, seminuda, che attraversa la strada.

Quanto ha sedotto? Potrei riempire gli spazi dell’encicloped­ia Utet, e ho iniziato a 12 anni e sono cresciuto al Vomero, mia madre dotata di palle nobiliari.

Cosa c’entra mamma? Anno 1990, ero a Fantastico per un concorso dedicato ai nuovi comici. All’ultima puntata, prima del sipario finale, chiamo mamma, e lei: “Figlio mio, non voglio sapere perché non stai ballando in diretta la sigla, ma sei al telefono con me; però si vede che le ballerine ti conoscono bene”. Insomma, aveva sgamato le mie attenzioni. Perché quella chiamata? Desideravo confessarl­e di essermi fottuto la carriera.

Che aveva combinato?

Per arrivare in finale avevo bruciato tutti i raccomanda­ti e le avversità del caso; poi scopro di non aver vinto, così per stizza rivelo in diretta qual è il biglietto vincente della lotteria; (silenzio) come cucina?

Chi?

Lei.

Torniamo a mamma.

È la sorella di Dino Verde (celeberrim­o sceneggiat­ore e paroliere), autore dei testi di Alighieron­oschese, Walter Chiari, Sandra e Raimondo. Quindi per lei sono una passeggiat­a; ( sorri de) in una puntata di Fantastico come giurato c’era Jerry Lewis: durante la mia esibizione mi accorgo che ride,

Sul set di Calà si faceva sesso anche durante le riprese

ma a scoppio ritardato per via della traduzione. Dalla felicità me ne frego dei milioni di spettatori e inizio a rallentare per godere delle sue reazioni ( adesso sorride).

A cosa pensa?

Molti anni fa, a Napoli, mi ingaggiano per uno show e quando arrivo scopro che è voluto e pagato da un camorrista. Insieme a me Eugenio Bennato, convinti fosse Edoardo.

Perfetto.

Eugenio inizia a cantare, ma dopo quattro canzoni il padrone di casa si alza, mostra in alto l’anello, e grida: “Bennato, facciw la mamma”. Eugenio riprende come niente. Altro stop. “Bennato, facci W la mamma”.

Niente. “Benna’, ce la vuoi fare W la mamma o no?”. Ed Eugenio: “Gentile signore, quello di W la mamma è mio fratello”. Gelo. Il camorrista si rialza. “Vabbuò, ma tanto la mamma è la stessa”. È nato in una famiglia particolar­e.

Il padre di mia madre era il braccio destro di Achille Lauro, ma in casa non c’era una lira, e quando cucinavano i rigatoni, li servivano scotti perché così

Mio zio è il mitico Dino Verde: giocava a tennis fumando, in cachemire

risultavan­o più grandi.

E lei?

Il mio primo jeans Levi’s è arrivato per i diciotto anni grazie a una colletta degli amici; noi da sempre ringraziam­o una Onlus che sostiene gli orfani dei

medici: gato, da ci sempre, hanno pa- le tasse bri, più scolastich­e, le vacanze. i li- Il nostro era conseguire unico obbligo i giusti Una risultati manna. a scuola.

Quando doveva chiamare mamma il direttore nlus, ci pettinava della O- e vestiva voleva rischiare bene: non anche Da se ragazzo era solo al era telefono. incazzato?

Non è comodo quando giri per Roma con solo motorini vecchi, solo abiti vecchi, solo tutto vecchio.

A Roma.

Sbarcati nel 1983, con mamma convinta che sarebbe andata meglio.

La prendevano in giro?

174 chilometri di razzismo: sono stato chiamato “Napoli” fino a quando è arrivato Maradona e io ho scoperto che ero un fenomeno a battere i calci di punizione. Un cecchino.

Che liceo era?

Di estrema destra, dove Paolo Signorelli fece tatuare una svastica a Giusva Fioravanti; il primo giorno mi presentai vestito come Che Guevara. Ero decisament­e un outsider in cerca di sicurezze.

Attività politica?

Non avevo i mezzi, non ero strutturat­o; mi dedicavo più al calcio e alle donne.

Un errore corretto...

Fino ai cinquanta sono stato avvolto dall’esigenza di ottenere un effetto comico in ogni conversazi­one. Strafacevo. Poi grazie al mio psicologo ho imparato l’ascolto dell’altro.

Il suo primo palco.

Quello dell’accademia Silvio D’amico, ma ero una pippa e non mi hanno voluto, poi la moglie di mio zio mi aveva iniziato a pagare alcune lezioni di recitazion­e.

E torna Dino Verde.

Una sera zio va al cinema per vedere Ben Hur, e lì si innamora di José Greci nel ruolo di Maria. La sposa. Ed è stata lei la prima a credere in me.

Zio onnipresen­te.

Era una superstar, un uomo che non ha mai avuto il tempo di spendere i soldi che ha guadagnato: è lui ad aver scritto Ciao Rudy per il Sistina, Mastroiann­i protagonis­ta. E mio fratello Riccardo gli assomiglia: lui segue Fiorello, Panariello, De Sica, Carlo Conti e la De Filippi.

E zio Dino...

Giocava a tennis vestito di solo cachemire e con in mano una sigaretta; aveva un amico, anzi un adepto, che pur di stargli accanto accettava tutto, anche il cambio del nome: “Achille è equivoco, finisce per ‘e’, meglio Achillo, è maschio”. E lui per sempre si è presentato come Achillo.

Quindi siete arrivati a Roma per seguire lui.

In qualche modo, ma alla fine

ha Gustavo, quando ostacolato mia autore madre, anche eccezional­e; finalmen- suo figlio te, gli vo, trovò di lo me, diventa il lui coraggio rispose: da solo”. per “Se parlar- è bra

Lì Ha ho imparato recitato per tutto, Monicelli. e lui era il male in commedia: non ho dormito per 45 giorni, tutto il tempo cambia delle riprese, tono) e i suoi costanti cazziatoni mi hanno devastato; ( alla fine mi spiegò il suo atteggiame­nto: “Se uno E ha lei? la possibilit­à di recitare con Per anni me, lo mi tratto è rimasta male”. addosso l’ansia rivato Bene, Gabriele da no? prestazion­e; Salvatores. poi è ar

( cercare Abbassa in il un tono) teatro Mi di venne cabaret a napoletano se e trenta e scene mi offrì in dodici Denti; po- il giorno driano della di Roma prima e davanti vado all’a- allo schermo gliato tutta scopro la mia che parte. aveva ta

Stavo Dolore. decidendo di cambiare mestiere; nei titoli di c’è coda. solo il mio nome

Nel con Jerry curriculum Calà. c’è un film

Uno Eh...? tsunami di gnocca.

Un’onda bellissime anomala con il quoziente di donne intelletti­vo derose di di sesso un pure lombrico, durante desi- le riprese. Io un bambino felice.

Un amico.

Max Pezzali è un uomo di una simpatia e generosità rara, e ancora adesso non vive nel mito di se stesso, è sempre un ragazzo semplice, fragile e insicuro. Fatto tutto di sentimenti. È mai stato semplice, fragile insicuro?

Anche ora mentre parlo; però è vietato dalla legge mettere al mondo un figlio da “insicuro”.

Complessi?

Oggi combatto con il peso, quando ero una statua greca ero convinto di avere la pancia.

Come guarda il lei ventenne?

Con invidia, perché so quello che ha combinato, non mi può dire cazzate; e mi rode quando mi dicono “quanto eri bello”. Per anni a Zelig .

Senza Claudio Bisio quel programma non sarebbe esistito: lui era il 50 per cento del totale, ogni minuto; lui riesce a far emergere e ottenere successo anche a un cassonetto della differenzi­ata.

Vizio.

Il mio bisogno spasmodico di voler mangiare, bere, fumare; fare l’amore, progettare. Sono in perenne fase orale.

Sopravviss­uto?

Alla morte di mio padre, a una decina di terremoti e agli incidenti in auto e in moto.

Il rapporto con i soldi.

Non sopporto gli scrocconi, chi si aspetta che paghi io, o chi dopo dieci volte che viene a pranzo da me poi non mi invita.

Chi è lei?

Di sicuro non sono lei che me lo chiede.

E oltre?

Un persona vivo. padre. onesta. Un umorista. E sono ancora Una

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Qui, Dario Cassini a “Zelig”: per 16 stagioni ha fatto parte del cast
FOTO ANSA/LAPRESSE Television­e Qui, Dario Cassini a “Zelig”: per 16 stagioni ha fatto parte del cast
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FOTO ANSA I tre fratelli Al centro, Marco, Dario e Riccardo Cassini: tutti impegnati nel mondo artistico
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