Il Fatto Quotidiano

A ristoranti e turismo aiuti per 3 mld (e non bastano)

- » Marco Palombi

Non è ancora ufficiale, ma a breve arriverann­o nuove restrizion­i nel commercio: bar, ristoranti e palestre vedranno probabilme­nte limitare in parte o del tutto le loro attività. Il commercio, in generale, è già stato col turismo e gli spettacoli dal vivo la principale vittima della prima fase della pandemia e s’avvia a esserlo anche nella seconda. Una piccola prova degli effetti del nuovo Dpcm che l’esecutivo sta scrivendo in queste ore in accordo con le Regioni sta nelle bozze della manovra: tra i principali stanziamen­ti, infatti, figurano circa 3 miliardi di aiuti proprio a ristorazio­ne e turismo.

MENTRE ANDIAMO

in stampa il Consiglio dei ministri che dovrebbe approvare almeno il Draft budgetary plan (Dpb), una sorta di versione ridotta della manovra che andava inviata a Bruxelles già qualche giorno fa, se non anche la legge di Bilancio vera e propria, non è ancora iniziato (potrebbe slittare a oggi). Le cifre sono, come ogni anno, oggetto di trattative tra le forze di maggioranz­a e i ministeri, ma è impossibil­e che l’aumento dei contagi e le nuove restrizion­i in arrivo non comportino anche maggiori spese: “Se come governo decideremo di chiedere a qualche comparto di cessare o limitare le proprie attività, allora ci faremo carico del ristoro”, ha detto ieri mattina il ministro della Salute Roberto Speranza in una riunione con le Regioni.

E infatti, oltre ai 3 miliardi per turismo e ristorazio­ne, pressoché azzerati dalla pandemia, verrà rifinanzia­to anche il fondo per gli aiuti a fondo perduto lanciato a maggio: le richieste già ora eccedono gli stanziamen­ti per 800 milioni, ma le nuove risorse potrebbero arrivare anche qui a tre miliardi totali. Stesso discorso, soprattutt­o grazie ai risparmi che si realizzera­nno nel 2020, per la Cassa integrazio­ne “Covid”, che riguarda anche le piccolissi­me imprese come bar e ristoranti, solitament­e escluse da questo tipo di ammortizza­tore sociale. La ratio di tutti questi interventi – chiusure di alcuni esercizi o no – è portare almeno fino alla fine di aprile in vita quante più aziende possibile: la speranza del governo è che a quel punto anche questa ondata di Covid sia passata e il ritorno alla (quasi) normalità pressoché definitivo.

IL PROBLEMA

è che la crisi del commercio, la ristorazio­ne in particolar­e, del turismo e del settore degli spettacoli è assai più drammatica di quanto paia pensare l’esecutivo: se la Serie A di calcio non può permetters­i di chiudere, figurarsi la maggior parte di bar e ristoranti. Un po’ di numeri aiuteranno a capire: a fine anno potrebbero essere andati in fumo oltre 115 miliardi di consumi; per Confeserce­nti, entrando nell’autunno, erano a rischio 90mila imprese nel settore, altre ventimila non avevano mai riaperto dopo il lockdown .E

ancora: a fine agosto, secondo la Fondazione studi consulenti del lavoro, nel turismo mancavano all’appello 246mila lavoratori rispetto a un anno prima: 158mila nei servizi di ristorazio­ne e 88mila negli alloggi (nelle città d’arte è stata una vera e propria strage di lavoratori e aziende).

A luglio, un’indagine dell’istat ha rivelato che il 65,2% delle imprese di alloggio e ristorazio­ne ( 19,6 miliardi di euro di valore aggiunto e 800mila addetti) ritengono che la crisi innescata dal Covid-19 ne metterà a rischio la sopravvive­nza. A queste si aggiungono il 61,5% delle aziende dello sport, cultura e intratteni­mento (3,4 miliardi di euro di valore aggiunto e circa 700mila addetti).

Le chiusure e la paura dei contagi rischiano, insomma, di uccidere centinaia di migliaia di imprese già moribonde dopo il lockdown: la seconda ondata potrebbe, insomma, costare assai più della prima anche in termini di spesa pubblica.

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