Avati tutta, Pupi e la figlia Mariantonia si sfidano in libreria: il diavolo e l’acqua santa
Profuma di Gadda, è scritto nella lingua letale di Simenon, attraversa tenebre nelle quali la luce irrompe di rado (e la scena diventa ancora più orrifica), vive di una meccanica impeccabile e implacabile ed è percorso da un’incessante tensione che fa vibrare anche i rari istanti di levità. È L’archivio del diavolo (Solferino) il nuovo romanzo di Pupi Avati. Imperdibile. Letteratura, non narrativa. Tormento senza estasi per i protagonisti; estasi dopo non pochi tormenti per i lettori.
LA CONDIZIONE UMANA è una fragile lingua di terra sulla quale le anime si dibattono, tra un cielo che promette – ma non mantiene – l’infinito e gli artigli dell’abisso, che sbucano dal ventre della Terra, per afferrarle e trascinarle con sé. Braccio di ferro senza requie con il maligno, il cui manifestarsi sembra simboleggiato dal profumo, intenso, profondo, arcaico, dell’elicriso, i cui fiori gialli come l’oro richiamano il diabolico zolfo. Braccio di ferro al quale nessun essere umano può sottrarsi. E, dal quale, il più delle volte, usciamo sconfitti. Spesso, devastati. Ma anche l’unico, oltre al dolore, che dia davvero senso all’esistere. E il maligno seduce e contamina tutto e tutti, costringendo personaggi e lettori a confrontarsi con gli aspetti più bui e inconfessabili di sé. Senza capire mai se appartengano alla realtà o a una di quelle fasi ipnagogiche (sonnolenza pre addormentamento), durante le quali si possono vivere illusioni e allucinazioni. Un’unica certezza: “La felicità è merce reperibile”.
Certezza della quale è perfettamente consapevole anche Mariantonia Avati – figlia di Pupi – e autrice di uno dei più bei romanzi del 2018: Il silenzio del sabato (La Nave di Teseo). Idea originalissima: il giorno più straziante dimaria, l’unica madre- figlia- di- suo- figlio, che piange il suo giovane uomo, crocifisso per crimini commessi da altri. Scrittura ispirata, lieve e profonda, che spesso sconfina nella poesia. In questo nuovo romanzo (“A una certa ora di un dato giorno”, sempre per la casa editrice guidata da Elisabetta Sgarbi), Mariantonia Avati non si smentisce. Anzi. Scrittura nuda, disarmata e disarmante, che accompagna a esplorare il Continente più vasto e devastato di tutti: il dolore, immeritato e inconsolabile, delle donne. Straziante. Tanto che, qui,