Giorgetti si piglia tutto, Cingolani gli soffia l’energia
In un governo in cui i ministeri chiave sono affidati a tecnici scelti da premier e Quirinale, la lotta per i posti di sottogoverno è quel che rimane ai partiti per fingere di contare. Sui 40 e rotti sottosegretari resta, per ora, lo stallo ( si dovrebbe decidere oggi). Ma è la divisione delle competenze dei ministeri che disegnerà i rapporti di forza dell’esecutivo Draghi. È lì che c’è lo scontro vero. Lo si è capito ieri in una tesa riunione via web tra i capi di gabinetto. Oggi in pre-consiglio dei ministri verrà infatti discussa la bozza di decreto che riordinerà le strutture. Il grosso riguarda i due ministeri chiave, quello della Transizione ecologica, affidato a Roberto Cingolani e quello della Transizione digitale in mano all’ex manager di Vodafone, Vittorio Colao (sponsor Paolo Gentiloni). Gestiranno il 6o% delle risorse del Recovery Plan (115 miliardi, considerando anche l’intera quota prestiti).
LA NASCITA del primo, detto Mite, ha sbloccato quella del governo e Cingolani lo ha fatto pesare pretendendo il passaggio al suo ministero delle deleghe sull’energia, finora inmano al ministero dello Sviluppo ( oggi guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti). In base alle bozze circolate, passeranno al Mite 14 divisioni su 19 del comparto. In sostanza, Cingolani avrà tutto quel che tocca la transizione ecologica: rinnovabili, decarbonizzazione, efficienza energetica, nuove tecnologie clean , mobilità sostenibile (qui sottrarrà competenze anche ai Trasporti), decommissioningnucleare, riconversione della produzione di idrocarburi. Deleghe importanti (pure quanto a relativi fondi) del ministero di via Veneto.
Al Mise, del comparto Energia resterà la parte relativa alla concorrenza e al mercato, alla sicurezza delle forniture energetiche e quella “connessa alla tutela del rischio di deindustrializzazione e delocalizzazione di comparti produttivi dove il costo dell’energia ha un ruolo rilevante. Tra essi, l’industria siderurgica, la produzione di cemento, vetro, l’alluminio, ceramica, carta, chimica, che oggi richiedono una gestione per mantenerne la competitività nel quadro della transizione energetica”. In pratica a Giorgetti resta il dossier Ilva e la sua decarbonizzazione (ma i fondi passano dal Mite) e le competenze su prezzi e tutela dei consumatori, ma perde la vera politica energetica. Il Mise conserva poi la vigilanza sul Gme (le aste del mercato elettrico) e sull’acquirente Unico (il mercato tutelato dell’energia), ma perde quella su Enea, Gse (la torta miliardaria degli incentivi alle rinnovabili) e Sogin (nucleare).
Si capisce perché la cosa non sia stata gradita. E infatti Giorgetti ha provato a resistere. È toccato al capo di gabinetto di Cingolani, Roberto Cerreto, ricordare che così ha deciso il premier fin da quando ha annunciato la lista dei ministri. La cosa non è indolore, ma può diventare un vero schiaffo alla Lega se il Mise dovesse perdere anche la parte Telecomunicazioni, chiesta da Colao ma fondamentale nei rapporti di forza interni al centrodestra (perché cara a Silvio Berlusconi, tanto più visto lo scontro Mediaset-vivendi). Altrimenti allo Sviluppo resterà poca roba, se si eccettuano i sussidi alle imprese. Non è un caso che Colao abbia chiamato come capo di gabinetto un ex alto dirigente del Mise come Stefano Firpo (ora in Intesa Sanpao
lo). L’ipotesi più probabile è che l’ex Vodafone raccolga le deleghe sulla banda larga (presiede già l’apposito comitato per l’attuazione del piano nazionale, il Cobul) e 5G e coordini il resto.
Su questo, oggi, sarà battaglia. E la battaglia di Giorgetti è la cartina di tornasole di chi comanderà nel governo. E non sarà la sola, visto che ognuno reclama pezzi di potere. Il leghista Garavaglia, per citare un caso, pretende che al ministero del Turismo vada il demanio marittimo (e con esso il supporto della nutrita lobby dei balneari), oggi in mano a Tesoro e Beni culturali.