Charles e Gustave, geni della modernità e grandi scostumati
1821: il 9 aprile è nato Charles Baudelaire, il 12 dicembre Gustave Flaubert. Omaggiamo questo doppio centenario, e sia un doppio vaccino contro tanta virulenta pseudoletteratura.
A scorrere le loro vite, si trovano coincidenze che è impossibile non rilevare. Le madri – Caroline Dufay e Anne Justine Caroline Fleuriot, chiamata Caroline, come poi la sorella e la nipote di Flaubert – sono nate nello stesso anno, il 1793, lo stesso mese, il 27 e il 7 settembre, e sono morte a pochi mesi di distanza verso gli ottant’anni. Uno è parigino, l’altro normanno, ma la madre del parigino si trasferirà in Normandia, e quella del normanno andrà spesso a Parigi nei lunghi soggiorni del figlio. Entrambi si iscrivono a Legge e, invece di studiare, fanno amicizie tra artisti e letterati, scrivono, frequentano teatri e bordelli, prendono la sifilide, hanno disturbi nervosi. Nessuno dei due si sposa né si riproduce. Sono processati nel 1857 per immoralità a causa del loro primo libro: Madame Bovary esce in aprile e le Fleurs in giugno. Il pubblico ministero è lo stesso: Ernest Pinard; il 7 febbraio il Tribunale assolve Flaubert, il 20 agosto condanna Baudelaire a 300 franchi di ammenda e alla soppressione di 6 poesie.
Baudelaire è “castano, di statura media, magro come un asceta, riservato”. Così Flaubert nel ‘57: “Ho 35 anni, sono alto cinque piedi e otto pollici (1,84), ho delle spalle da facchino e un’irritabilità da fanciulla civettuola”. E così i Goncourt: “Baudelaire mangia a fianco a noi, senza cravatta, col collo scoperto, la testa rasata, in tenuta da condannato alla ghigliottina. La testa di un folle, la voce nitida come la lama di un coltello”; e di Flaubert: “Molto alto, fortissimo, grandi occhi sporgenti, palpebre gonfie, guance piene, baffi ruvidi e cascanti (...) goffo, eccessivo e privo di leggerezza in ogni cosa, nello scherzo, nella caricatura”.
Baudelaire è riservato, ma senza ritegno quanto a esibizionismo: molto eccentrico nell’abbigliamento, un giorno può apparire coi capelli verdi, e un giorno tutto rasato, e poi con lunghi capelli bianchi... Insomma, sono entrambi grandiosamente teatrali; eppure solitari: “Senso di solitudine, dall’infanzia. Nonostante la famiglia – e in mezzo ai compagni, soprattutto – senso di destino eternamente solitario”, scrive uno; “Sono scapolo e solitario... Un orso bianco non è più solitario” scrive l’altro.
Si dichiarano reazionari, disprezzano la democrazia, la borghesia e anche le donne. Amano la prostituzione quasi più delle prostitute: “L’amore è il gusto della prostituzione. Non c’è un piacere nobile che non possa essere riportato alla prostituzione” dice uno; “Sì e centomila volte sì preferisco una puttana a una sartina” e “Mi piace la prostituzione (...) lussuria, amarezza, niente rapporti umani, frenesia di muscolo e tintinnio d’oro, che a guardarci dentro viene la vertigine!” dice l’altro. Hanno ammirato Nerone, e questa ammirazione non può che venire da una vena di sadismo (Sade era molto di moda presso i romantici): “È tenero come il cervello di un bambino”, dice Baudelaire mangiando un filetto; “Ormai si cammina calpestando budella e si comincia a sentir puzza di bambino bruciato. Baudelaire sarà contento!” dice Flaubert parlando di Salammbô.
Condividono dei gusti letterari. Baudelaire scrive a Hugo: “Ho l’impressione (forse dovrei dire l’orgoglio) di capire tutte le vostre opere. Vi amo come amo i vostri libri”. Flaubert scrive di Hugo: “È l’uomo della poesia, della reazione, l’uomo del secolo, cioè l’oggetto dell’odio, della maledizione e dell’invidia; è proscritto in questo secolo, sarà Dio nell’altro”. Scrive Baudelaire: “Si dice che Balzac carichi la sua copia e le bozze in maniera fantastica e disordinata. È senz’altro questo cattivo metodo che dà spesso allo stile quel non so che di confuso, di scombinato e di scomposto – il solo difetto di quel grande storico”. Scrive Flaubert: “Che uomo sarebbe stato Balzac, se avesse saputo scrivere! Ma non gli manca che questo. Un artista, dopo tutto, non avrebbe fatto tanto, non avrebbe avuto questa vastità”.
Scrive Baudelaire di George Sand: “Ha il famoso stile scorrevole, caro ai borghesi. È stupida, è pesante, è chiacchierona; nelle idee morali ha la stessa profondità di giudizio e la stessa delicatezza di sentimento dei portinai e delle mantenute”; scrive Flaubert: “In G Sand, si sentono le perdite bianche; che scolano, e l’idea scorre tra le parole, come tra cosce senza muscoli”. Sognano una “prosa poetica”: Baudelaire: “Chi di noi non ha sognato, nei suoi giorni di ambizione, il miracolo di una prosa poetica, musicale senza ritmo e senza rima, così agile e così aspra da adattarsi ai movimenti lirici dell’anima, alle ondulazioni della fantasticheria, ai soprassalti della coscienza?”; Flaubert: “Voler dare alla prosa il ritmo del verso (lasciandola prosa e molto prosa) e scrivere la vita ordinaria come si scrive la storia o l’epopea (senza snaturare il soggetto) è forse un’assurdità. Ecco cosa mi domando a volte”.
Ma sono stati amici? Tutto quello che sappiamo è dalle lettere rimaste – nove di Flaubert e cinque di Baudelaire – che datano dall’anno dei processi al 1862: si sono incontrati più volte, si sono stimati, si sono ammirati; si direbbero anche un po’ intimiditi uno dall’altro, come se avessero percepito reciprocamente la loro tremenda energia. Ma amici non sono mai diventati. L’epistolario ci dice molto del loro rapporto con la madre: forse una madre forte e incombente è all’origine dell’instabilità amorosa, e forse anche dello strano connubio tra il perdurare dell’infanzia e la comprensione precoce di sé e del mondo. Baudelaire: “Sono egoista come i bambini e i malati”; Flaubert: “Se dicessi tutto quello che c’è in me di vuoto, di sciocco, di sventato e di puerile, sarebbe ancora peggio delle peggiori facezie”.
In entrambi, verità espressiva e responsabilità morale diventano una sola cosa nella scrittura. Dice Flaubert: “Bisogna ispirarsi all’anima dell’umanità, non alla propria. Se solo la letteratura moderna fosse morale, diventebbe forte”. E Baudelaire: “Fa’ tutti i giorni, ciò che vogliono il dovere e la prudenza. Se tu lavorassi tutti i giorni, la vita ti sarebbe più sopportabile”. Ecco, lo stile è, insieme, senso del piacere e senso del dovere, ed è con la precisione dello stile che Baudelaire e Flaubert, questi due “giganteschi inventori della modernità”(parola di Raboni) si sono fatti forti, hanno trovato il modo di resistere: resistere alle opprimenti Caterine come all’opprimente mondo borghese, e resistere alla grandezza di Hugo e di Balzac come all’incomprensione e all’ostilità dei mediocri.