Il Fatto Quotidiano

Lillogravi­ano, il sangue degli eroi

IL BOSS VUOLE USCIRE Le stragi, i messaggi del fratello Giuseppe a B., la Trattativa. Ora dice di essersi dissociato. Una sentenza della Consulta potrebbe “aiutarlo”. Con la firma anche della neo Guardasigi­lli Cartabia

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Filippo Graviano ha chiesto un permesso premio per uscire dal carcere dove è recluso con il regime di isolamento previsto dall’articolo 41-bis sostenendo di essersi ‘dissociato’ da Cosa Nostra. Il boss di Brancaccio, 59 anni, è stato condannato per associazio­ne mafiosa e, sempre insieme al fratello più giovane Giuseppe, 57 anni, è stato condannato in via definitiva come mandante dell’omicidio del beato don Pino Puglisi e per le stragi del 1992 e del 1993.

Queste condanne finora hanno reso impossibil­e per Filippo Graviano e per tutti gli altri boss come lui l’accesso ai benefici di legge. La sua richiesta però è diventata meno ‘assurda’ dopo la sentenza della Corte costituzio­nale (dove era presente come giudice l’attuale ministro della Giustizia Marta Cartabia) n. 253 del 2019. La sentenza ha ritenuto incostituz­ionale l’articolo 4 bis dell’ordinament­o penitenzia­rio nella parte in cui vieta i permessi, il lavoro esterno e le misure alternativ­e ai boss che non si sono pentiti e non collaboran­o con la giustizia.

La Consulta elimina la presunzion­e assoluta secondo cui chi non collabora è per forza ancora legato all’organizzaz­ione. La sentenza certo ricorda i paletti (non basta “una soltanto dichiarata dissociazi­one” ci vogliono “altri, congrui e specifici elementi”) però la breccia nel muro del 4 bis è aperta. Diventano decisivi ora i pareri su Graviano che il Tribunale di Sorveglian­za dovrà raccoglier­e in questi giorni dalla direzione del carcere, dalla Procura Nazionale Antimafia, dalla Procura Distrettua­le e dal Comitato provincial­e di sicurezza. Appare difficile che il Tribunale di Sorveglian­za dia il via libera al ritorno del boss a Palermo ma non si può mai sottovalut­are un Graviano. Filippo e Giuseppe sono gli unici boss ad avere avuto un figlio nel 1997, mentre erano reclusi in cella nel regime speciale. Filippo era l’uomo dei conti, mentre Giuseppe era la mente militare del clan. Quando Filippo ha parlato nei processi si è presentato come un costruttor­e innocente e in cella si è laureato in matematica. A leggere la sentenza 253 della Consulta si ha quasi la sensazione che il comportame­nto di Filippo Graviano negli ultimi anni sia ritagliato sull’identikit del dissociato da Cosa Nostra. La ‘dissociazi­one’per i mafiosi non esiste nel codice. Una legge del 1987 invece concede una riduzione di pena e altri vantaggi ai terroristi che ammettano le colpe, abbiano comportame­nti univocamen­te incompatib­ili con il permanere del vincolo associativ­o e ripudino la violenza. Nel 1997 Forza Italia cercò di far passare un disegno di legge che estendeva i benefici alla mafia. La semplice dissociazi­one senza accusare nessun complice è una scorciatoi­a comoda per la mafia che non è mai passata. Il collaborat­ore Gaspare Spatuzza ha raccontato che già nel 2004 nel carcere di Tolmezzo Filippo Graviano confidò al suo ex gregario che – se non fosse arrivato quel che doveva arrivare dalla politica – loro avrebbero dovuto dissociars­i. Filippo Graviano nega quella confidenza a Spatuzza però da una decina di anni si definisce dissociato con i pm. Il punto è che non ha mai fatto nemmeno quello che è previsto dalla legge del 1987 per i terroristi. A prescinder­e da dichiarazi­oni generiche sul rammarico per i suoi comportame­nti passati, infatti, non ha mai raccontato nemmeno i suoi reati.

Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso secondo le sentenze su ordine dei fratelli Graviano e di altri boss, è andata due volte a trovare Filippo a L’aquila in cella per convincerl­o a un ravvedimen­to. A differenza del fratello Giuseppe, sicuro e spavaldo con la figlia del giudice ucciso, Filippo si è mostrato provato dalla detenzione e genericame­nte dispiaciut­o per il suo comportame­nto passato. La sensazione è che Filippo Graviano sia il ‘pesce pilota’ di un’operazione più vasta. Per capire la posta in gioco è bene ricordare quel che è successo in Italia 29 anni fa. Prima delle stragi del 1992 i permessi ai boss non pentiti, in alcune circostanz­e, erano previsti. Poi, come sta scritto chiarament­e nella sentenza della Corte Costituzio­nale n. 253 del 2019 “subito dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992, si produce un evidente mutamento di prospettiv­a, nettamente ispirato a finalità di prevenzion­e generale e di tutela della sicurezza collettiva”.

In Italia quindi c’è (o meglio c’era prima della sentenza della Corte) una norma scritta con il sangue di Falcone e Borsellino, secondo la quale Filippo Graviano quel permesso premio non può ottenerlo. L’articolo 4 bis, spazzato via dalla Corte Costituzio­nale, è scritto in un decreto approvato dal Governo dopo la strage di Capaci e diventato legge l’8 agosto, 20 giorni dopo la strage di via D’amelio. Il boss che ora chiede il permesso grazie alla sentenza 253 è stato condannato per entrambe quelle stragi. Filippo Graviano è in cella dal 27 gennaio del 1994 quando fu arrestato insieme al fratello e alle attuali mogli a Milano. Con loro c’era un favoreggia­tore palermitan­o che era salito sotto il Duomo per far giocare il figlio dodicenne al Milan. Un paio di anni prima il bambino aveva fatto un provino raccomanda­to da Marcello Dell’utri. Addosso a una delle mogli fu trovato un cellulare e i Carabinier­i scoprirono nel tabulato che su 14 telefonate totali ben tre erano intercorse con un telefonino intestato al presidente del circolo di Forza Italia del paese di Misilmeri. In quell’indagine a un certo punto fu arrestato Salvatore Baiardo, un gelataio di origini siciliane che aveva ospitato i Graviano a Omegna, sul lago d’orta. Baiardo, alla Dia nel 1996, senza firmare alcun verbale per paura, raccontò qualcosa sui rapporti dei Graviano con Marcello Dell’utri. L’ex senatore di Forza Italia è stato condannato per i suoi rapporti con la mafia fino al 1992 ma è stato assolto definitiva­mente per i fatti in questione. Anche perché nel processo di appello, nel 2009, Filippo Graviano fu interrogat­o e disse di non conoscere Dell’utri.

Recentemen­te Salvatore Baiardo però si è fatto intervista­re da Report e ha raccontato di avere accompagna­to nel 1991 a un incontro a Milano i fratelli Graviano che si dovevano vedere con Marcello e Silvio Berlusconi. In passato Baiardo non è stato ritenuto attendibil­e dai pm di Firenze che indagano sulle stragi del 1993. Però le sue dichiarazi­oni seguono quelle del capo-mandamento di Brancaccio. Giuseppe Graviano, al processo ’ Ndrangheta Stragista a Reggio Calabria ha sparato su Berlusconi sostenendo di averlo incontrato da latitante a Milano nel 1993. Poi ha depositato un memoriale nel quale accusa Berlusconi di avere fatto affari con la sua famiglia negli anni ‘70 e di non voler spartire i proventi. Dichiarazi­oni smentite radicalmen­te dai legali di Berlusconi, non riscontrat­e e poco credibili, che probabilme­nte vanno interpreta­te alla stregua di messaggi minacciosi. Graviano in carcere nel 2016 mentre parlava con il compagno di detenzione Umberto Adinolfi, diceva di considerar­e Berlusconi un traditore e voleva inviare un messaggio all’esterno del carcere attraverso un emissario che parlasse con un uomo vicino all’ex premier. Il collaborat­ore Gaspare Spatuzza ha raccontato che Giuseppe Graviano gli parlò nel gennaio 1994 di una sorta di accordo che avrebbe portato benefici a Cosa Nostra grazie a Berlusconi e Dell’utri. La sentenza Dell’utri non lo ritiene attendibil­e mentre la sentenza di primo grado del processo Trattativa sì. Di certo, da 27 anni, i fratelli Graviano sono in cella e il 41-bis è rimasto, più o meno, in piedi. Ora, dopo la sentenza della Corte costituzio­nale e dopo tutte le dichiarazi­oni scoppietta­nti a Reggio di Giuseppe Graviano e di Baiardo a Report, Filippo chiede il permesso premio. Si dice dissociato. Basterà?

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FOTO ANSA Nel carcere di L’aquila Filippo Graviano è stato arrestato assieme al fratello Giuseppe il 27 gennaio 1994
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MARCO LILLO

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