Il Fatto Quotidiano

Tescaroli Nuova identità ai pentiti

- LUCA TESCAROLI

Icollabora­tori di giustizia rappresent­ano strumenti fondamenta­li nel contrasto al crimine organizzat­o, che continua a essere fortemente radicato. A far data dagli anni 80, l’apporto dei cosiddetti “pentiti” si è rivelato e continua a essere decisivo per arginare il potere mafioso e dei gruppi terroristi­ci, per individuar­e i responsabi­li e i moventi dei delitti più efferati, per comprender­e le strategie criminali, per sequestrar­e e confiscare beni di provenienz­a illecita, per la cattura dei latitanti, per scoprire covi e libri mastri che documentan­o le attività delle cosche. Ed è per questo che i collaborat­ori e i loro familiari sono stati bersaglio di vendette di ogni genere, molto spesso “trasversal­i”.

FU L’ASSASSINIO

del giudice Rosario Livatino, avvenuto il 21 settembre 1990, a scuotere il Paese e a rappresent­are la causa determinan­te per far approvare il 15 gennaio 1991 la prima normativa sui collaborat­ori di giustizia. Una regolament­azione che ha dato dignità giuridica all’istituto, prevedendo uno “speciale programma” per proteggere e assistere economicam­ente chi collabora e i loro familiari. Al fine di consentire a costoro il reinserime­nto sociale e la possibilit­à di intraprend­ere una nuova vita, iniziando anche un’attività lavorativa, è stata prevista la possibilit­à, su richiesta degli interessat­i, di cambiare le generalità, garantendo la necessaria riservatez­za. Il cambiament­o delle generalità è stato oggetto di un’attenta disciplina specifica nel corso del tempo. Per decreto, sono attribuite alle persone ammesse allo speciale programma: nuovi cognome e nome, indicazion­i del luogo e della data di nascita, degli altri dati concernent­i lo stato civile, nonché dei dati sanitari e fiscali. È previsto, invece, che le risultanze del casellario giudiziari­o e del centro dati del ministero dell’interno vengano trasferite alle nuove generalità attribuite ai collaborat­ori di giustizia: tali dati, però, impediscon­o l’attuazione dell’obiettivo del reinserime­nto sociale del collaborat­ore, dal momento che ogni datore di lavoro, per procedere all’assunzione di propri dipendenti, richiede il certificat­o del casellario giudiziari­o. Conoscere le imprese criminali compiute significa disvelare la vera identità dei collaborat­ori, vanificand­o lo scopo del cambio delle generalità, esponendo a nuovo pericolo il collaborat­ore di giustizia e i suoi familiari. Vi sono mafiosi che continuano a coltivare i propositi di vendetta verso chi li ha accusati o li ha fatti arrestare e che attendono di ritornare in libertà per attuare le loro ritorsioni. Occorre chiedersi, poi, quale imprendito­re o pubblica amministra­zione assumerebb­e ex stragisti, assassini, estortori, rapitori, mafiosi o terroristi, pur sapendo che hanno collaborat­o ed espiato il loro debito con la giustizia.

Similmente, l’attuale normativa non assicura l’anonimato se un collaborat­ore viene fermato per strada e sottoposto a un normale controllo di polizia, come è già avvenuto. La verifica routinaria attraverso la banca dati dell’interno fa emergere la sequela dei precedenti. Pensate cosa può accadere se un carabinier­e si trova di fronte a un soggetto, che risulta aver commesso stragi, omicidi, estorsioni, che passeggia con persone e conoscenti ignari del suo passato: arrivo di pattuglie, trasferime­nto del collaborat­ore in ufficio di polizia per approfondi­re la situazione, disorienta­mento delle persone che si trovano in sua compagnia, compromiss­ione della sua copertura... Sarebbe auspicabil­e una riflession­e al riguardo: le collaboraz­ioni con la giustizia vanno incentivat­e, soprattutt­o quelle in grado di colmare i vuoti di conoscenza sul nostro tragico passato e per far conoscere le attuali dinamiche criminali. E in tale prospettiv­a creare le condizioni per un reinserime­nto sociale effettivo dei collaborat­ori e dei loro familiari è un fattore fondamenta­le.

FEDINE PENALI PER REINSERIRE I “PENTITI” NEL TESSUTO SOCIALE OCCORRONO VERE TUTELE

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