Il Fatto Quotidiano

Ecco Ljudimila, cecchina rossa incubo dei fasci

L’autobiogra­fia della “dama della morte” dell’armata Rossa: una delle tiratrici più letali della storia, medagliata dell’ordine di Lenin e icona dell’urss

- » Michela AG Iaccarino

“Trattieni il respiro e sp ara”. Lo scrive nelle sue memorie “la dama della morte” dell’unione Sovietica: Ljudmila Pavlicenko, 309 uomini uccisi in battaglia. Edita da Odoya in traduzione italiana, Lady death, La cecchina dell’armata rossa, è l’autobiogra­fia di una delle cecchine più letali della storia e una delle più mortali della Seconda guerra mondiale.

NELLA SUA INFANZIA trascorsa a sud di Kiev, Ljudmila gioca a “cosacchi e banditi” come ad altre latitudini si gioca a guardia e ladri. La sniper di Stalin, figlia di un maggiore dell’ar mata rossa, del suo amore brusco e dell ’educazione inflessibi­le, entra nella leggenda per caso quando alcune divise ne scoprono il talento in un circolo di tiro al bersaglio per amatori. Dopo la scuola per tiratori scelti, fu spedita al fronte di Sebastopol­i. Della “introversa ammazza-fascisti” compagni inseparabi­li per la vita rimasero la determinaz­ione e il fucile: “Proteggilo, tienilo pulito, elimina i difetti”. Cominciò con un Toz di piccolo calibro, “economico, forte e preciso”, esile come la sua corporatur­a. Continuò conmoskin Nagat modificati.

È talmente a suo agio tra linee rosse, d’ombra e del fronte che riesce ad annotare appunti per il suo diario di memorie mentre le varca. “Ti ho beccato bastardo nazista, dopo essermi congelata le chiappe!”. Non dimentica di decantare il numero di nemici eliminati, dettagli di caricatori e barricate mentre si sposta da un lato all ’altro della guerra. Non si concede indulgenza nemmeno quando viene ferita da un mortaio: l’angelo custode armato della battaglia di Sebastopol­i non ama la retorica, alla propaganda di Mosca preferisce otturatori, calibri e assalti.

Ljudmila, nata Belov, in biografia non omette un dettaglio che invece ha dimenticat­o di ricordare la propaganda sovietica e il kolossal a lei dedicato nel 2015: la “cecità volontaria” che la conduce verso il suo primo fidanzato, un amore di cui le resterà per il resto della vita il cognome Pavlicenko e un figlio che dà alla luce giovanissi­ma, diventato poi un agente del Kgb. Dopo l’assedio di Sebastopol­i, c’è quello di Odessa. Ma tra sangue, morte e pallottole c’è l’amore. “La luna di miele ebbe un effetto positivo sui miei tiri” scrive dopo le nozze col sottotenen­te Aleksej, stesso reggimento ma non stesso destino: lui morirà quasi subito dopo. “Signora morte” aveva grandi occhi chiari e molti si innamoraro­no di lei: alcuni per averla vista sulle pagine della Pravda , altri perché l’avevano ammirata in carne, ossa e acciaio mentre si nascondeva tra alberi e cespugli. “Dicono che sia il signore dei boschi a proteggerm­i, per questo mi chiamano la lince”. Medagliata dell’ordine di Lenin, a chi le chiese perché lo fece, rispose come molti sovietici: perché “andava fatto”.

L’urss, che per prima mandò le donne in guerra e poi lassù nello spazio, la rese icona. Ljudmila diventò faccia da conio, statua, manifesto di propaganda di quell’invincibil­e Unione che istigava i suoi cittadini a resistere. Ma “un cecchino non deve attirare l’attenzione su di sé, il requisito fondamenta­le per operare con successo è rimanere nascosti”. Il posto della tenente Pavlicenko era la guerra: incapace di rimanere lontana dalla trincea, fu sconfitta dalla vita quotidiana che seguì al congedo dell’armata rossa che la salutò con onore. Strinse la mano di Stalin a Mosca, viaggiò in terra nemica: arrivò negli Usa. L’ultima missione che narra in biografia è quella a Washington, dove deve sollecitar­e l’apertura di un nuovo fronte contro Hitler: la sovietica alla Casa Bianca viene subito amata dalla moglie del presidente Roosevelt, Eleonore. Pavlicenko non sa rispondere senza rabbia ai giornalist­i americani che chiedono che tipo di biancheria indossi. Sotto i riflettori della stampa a cui Mosca ha deciso di esporla come un trofeo perde due dei suoi talenti: invisibili­tà e autocontro­llo. La tiratrice scelta dalla storia per facilitare quella vittoria che ancora oggi la Russia celebra ogni 9 maggio, quando tornò in patria, addestrò centinaia di cecchini e si laureò in Storia. La donna più letale dell’urss è morta nel 1974 e oggi una strada della Sebastopol­i che difese porta il suo nome. La sua tomba è coperta di neve e fiori rossi nel cimitero delle stelle e degli eroi a Novodevici­j: tra Cechov, Bulgakov e capi di Stato, riposa – come non ha saputo fare mai mentre era in vita – la ragazza dalla tenerezza e furia spietata, Ljudmila grandi occhi, prima e ultima lince dell’urss.

‘‘ Ti ho beccato bastardo tedesco, dopo essermi congelata le chiappe... Trattieni il respiro e spara

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“Lady Vendetta” Ljudmila Pavlicenko (1916-1974)

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