Il Di Maio “liberale”
“I5Stelle sono finalmente una forza moderata, liberale, attenta alle imprese”: sono parole di Luigi Di Maio, intervistato da Repubblica, che una certa sorpresa hanno suscitato nelle rassegne stampa. Ma come, oggi si definisce moderato e liberale proprio colui che giusto due anni fa, insieme ad Alessandro Di Battista, si recò dai Gilet gialli francesi a stringere la mano a un tizio che sognava la guerra civile? Parliamo dello stesso Di Maio che minacciava l’impeachment contro il presidente Mattarella perché esitava a varare il governo gialloverde? Su entrambe le “uscite”, il tre volte ministro degli Esteri ha fatto ammenda e infatti lo scopo di questa rubrica non è quello di accusarlo di incoerenza, poiché usando lo stesso metro è l’intera politica italiana, salvo rare eccezioni, che dovrebbe discolparsi. Forse è più interessante domandarsi quale sia stato il percorso intellettuale, e anche umano, che ha condotto – non un Movimento somma di sentimenti collettivi – bensì la persona di Luigi Di Mai o a“maturare” e a“trasformare” il Luigi Di Mai o del Va ffa-day nel Luigi Di Mai o front mandi una forza“moderata, liberale, attenta alle imprese ”. La risposta spetterebbe naturalmente a lui sene avesse voglia( ne dubitiamo), ragion per cui proveremo a fare delle ipotesi. 1. Tenere gli altri nell’incertezza e crearsi una fama di imprevedibilità, può essere una strategia di potere, anche se nel caso in esame ci sembra una motivazione troppo sofisticata. 2. Esiste un’incoerenza funzionale legata al ruolo esercitato, il leader di un grande movimento deve sempre considerare lo spirito del tempo. L’italia del 2007, quando Beppe Grillo riempiva le piazze osannanti non è più quella di oggi perché nel frattempo evidentemente tutto è cambiato. Non tenere conto della realtà non è segno di integrità di principi, ma di stupidità politica. 3. L’esercizio del potere crea inevitabilmente abitudine al potere. Nessuna allusione, per carità, agli orpelli del privilegio e meno che mai al fascino monumentale della Farnesina, o miserie del genere. La vocazione ministeriale è legittima, oltre che utile, se messa al servizio dei propri valori. Se pure l’idea di governare il sistema mantenendosi fuori dal sistema è abbastanza ingannevole. 4. È possibile, infine, che la zingarata dai Gilet gialli e l’assalto al Quirinale le abbia partorite quella mente rivoluzionaria di Di Battista. E che Di Maio abbia detto di sì per non deludere l’amico sia pure forzando la propria natura “moderata” e “liberale”. Per l’ultima volta. È la spiegazione più ingenua, perciò la preferisco.
L’INFLUENZA SARÀ MICA CHE LE “ZINGARATE” DI PRIMA ERANO IDEE DI DIBBA?