Il crollo record del lavoro: salto indietro di oltre 4 anni
L’emergenza Covid ha spinto il mercato del lavoro indietro di ben quattro anni. L’ondata di chiusure forzate che ha caratterizzato soprattutto la prima fase della pandemia ha causato una perdita di 470 mila occupati nei primi tre trimestri del 2020, portandoci quindi a un livello appena superiore a quello raggiunto nel 2016, quando eravamo nel pieno di una lenta ripresa dopo la doppia recessione del 2008 e del 2012. Se poi prendiamo come riferimento le ore lavorate, allora il salto all’indietro è ancora più rilevante, perché qui la caduta è stata di ben 4 miliardi di ore. Vale la pena ricordare che, su questo piano, l’italia non ha mai recuperato il picco raggiunto prima del 2008.
È LA FOTOGRAFIA del colpo subito dall’economia del Paese, così come emerge dalla nota congiunta diffusa ieri da ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal. A queste cifre fa da contraltare l’enorme numero di persone che in questi mesi hanno ricevuto sussidi anti-povertà: tra il Reddito di cittadinanza e di emergenza, gli assistiti sono arrivati a 4,5 milioni (1,5 milioni di famiglie). Se ci limitiamo alla prima misura, che già esisteva, la platea è di 3,5 milioni di individui, a dimostrazione del fatto che – se non fosse stato già messo a punto in tempi normali – si sarebbe fatta una grande fatica a raggiungere tutti i bisognosi nei tempi rapidi imposti dal virus. Da ogni rigo del report emerge un’evidenza: in una crisi del genere solo l’en or me sforzo degli aiuti pubblici ha garantito la tenuta sociale del Paese. Il Pil è sceso del 5,5% nel primo trimestre, poi del 13% nel secondo per poi risalire del 15,9%. Più o meno in parallelo, l’occupazione ha avuto un crollo ripido tra marzo e maggio, nel bel mezzo del lockdo
wn, e poi ha iniziato l’inversione di tendenza in estate, si è stabilizzata in autunno, è inaspettatamente cresciuta a novembre ma poi è tornata a calare a dicembre.
Le ore lavorate – che sono un indicatore ben più fedele allo stato di salute dell’economia – sono scese del 7,7% nel primo trimestre, del 15,1% nel secondo e poi hanno visto un rimbalzo del 21% nel terzo. Ma, come detto, il saldo resta fortemente negativo. Un calo di attività che le imprese hanno gestito con una serie di mosse. Innanzitutto i tagli al personale: non potendo licenziare per il divieto del governo, il colpo l’hanno subito soprattutto i precari, a cui non è stato rinnovato il contratto (-394 mila unità). Il settore più colpito è stato quello dei servizi, in particolare il turismo, e a perdere il lavoro sono state soprattutto le donne e i giovani. Il tasso di occupazione femminile ha avuto una diminuzione doppia rispetto a quello maschile (-1,3% contro -0,7%); gli occupati under 35 hanno registrato un calo dell’1,8%, più contenuto tra gli over 50 (-0,3 punti). Settori come costruzioni, informazione, telecomunicazioni e industria hanno invece retto il colpo, e questo spiega l’impatto più contenuto per gli uomini.
NELLA PRIMA fase, la cassa integrazione per Covid è stata usata dal 63,1% delle imprese; nella seconda si è fermata al 41,8%. Ma l’ammortizzatore sociale concesso a tutti – anche a chi non ha avuto fatturati in calo (non alto tasos di abusi) – non è stato l’unico strumento per gestire la riduzione di lavoro.
Tra marzo e maggio, il 31% delle imprese ha ridotto i turni e il 32,3% ha imposto ferie forzate. A queste si aggiunge un 12,2% che ha rinviato assunzioni, percentuale salita al 12,7% tra giugno e novembre.
Il numero di lavoratori che ha perso il posto nei primi mesi di pandemia è superiore a 972 mila; con la ripresa delle attività – a partire da maggio – solo il 48% (467 mila persone) è riuscito a ricollocarsi. Chi è stato espulso dal mercato del lavoro è scivolato più facilmente nell’inattività – cresciuta di 1,8 punti – che nella disoccupazione, scesa dello 0,9%.