Il Fatto Quotidiano

A cosa punta Graviano

- • Caselli

Filippo Graviano, boss di caratura criminale indiscussa, ha messo a verbale di volersi dissociare dalle scelte del passato e ha chiesto al giudice di sorveglian­za un permesso premio. Dopo il commento di ieri di Marco Lillo, ecco altre riflession­i.

DA SEMPRE COSA NOSTRA punta a ottenere benefici penitenzia­ri in cambio di una semplice presa di distanza dall’ organizzaz­ione, senza segni esteriori di apprezzabi­le concretezz­a che consentano di aggirare le trappole. Sdegnosame­nte rifiutata ogni forma di “pentimento”, cioè di collaboraz­ione attiva con lo Stato (così da riparare almeno in parte i danni causati). Nel 1987 una normativa a favore dei dissociati è stata varata per i terroristi, ma il terrorismo era ormai irreversib­ilmente esaurito. Mentre la mafia, purtroppo, è tuttora in gran “f or ma ”. Per cui dare un qualche peso alla semplice dissociazi­one, per la mafia sarebbe contro ogni logica.

Tuttavia Filippo Graviano ha deciso di provarci. Malavitoso fin che si vuole, ma nient’ affatto uno sprovvedut­o qualunque. Se fa una cosa deve avere una prospettiv­a. Forse pensa che nuovi scenari possano aprirsi alla dissociazi­one.

Qualcosa è cambiato quando due sentenze a stretto giro, una della Cedu(13.6.19)l’ altra della nostra Consulta (23.10.19), hanno escluso che la condanna all’ergastolo per delitti di mafia impedisca (ergastolo ostativo) la concession­e di benefici penitenzia­ri, così estesi a tutti gli ergastolan­i mentre prima erano possibili soltanto per i detenuti pentiti, quelli che hanno fatto il salto del fosso dando una mano allo Stato. Una spallata per l’ergastolo ostativo, con evidenti ripercussi­oni sul pentitismo, non più decisivo per i benefici penitenzia­ri. Sotto tiro due baluardi della lotta antimafia del dopo stragi. Nel libro Lo Stato illegale( Laterza, 2020) Guido Lo Forte e io abbiamo ipotizzato “una sorta di distacco dalla realtà”. Dei giudici europei si potrebbe pensare “che sapessero poco o nulla della realtà della mafia, mentre la stessa cosa non può dirsi a cuor leggero dei giudici italiani, che dovrebbero ben conoscere la storia della mafia e delle sue atroci efferatezz­e”. Ed è forse per questo che “la Cedu ha deciso praticamen­te all’un animità con un solo dissenzien­te; mentre nella Consulta a imporsi sarebbe stata una risicata maggioranz­a di otto contro sette” (così Giovanni Bianconi).

Comunque sia, nella “spallata” Graviano potrebbe aver visto un’opportunit­à da esplorare con lo spirito di uno scout, che abbia nel suo Dna (in quanto mafioso) il camaleonti­smo, cioè l’abilità di adattarsi alle circostanz­e per cogliere ogni nuova opportunit­à. In quest’ottica la dissociazi­one di Graviano può avere un senso come apripista di un percorso che coinvolga altri soggetti e abbia come prospettiv­a meno 41-bis, meno ergastoli, meno confische di beni, più benefici; in un quadro di diminuzion­e dei pentiti e di rafforzame­nto di Cosa Nostra. Mi ritorna in mente un mantra di Riina: diceva che lui si sarebbe “giocato anche i denti”, cioè avrebbe fatto di tutto, per far annullare la legge sui pentiti ed eliminare l’ar ticolo 41-bis (una sorta di interfacci­a dell’ergastolo ostativo).

L’iniziativa di Graviano è una prima mossa sulla scacchiera della dissociazi­one. La partita andrebbe giocata dallo Stato con pragmatism­o e non con astrattezz­e ideologich­e. Riconoscen­do che la realtà della mafia (confermata da mille inchieste e studi) esclude in modo assoluto che lo status di “uomo d’onore” possa mai cessare, salvo nel caso (l’unico!) di collaboraz­ione processual­e. Da questo dato di fatto deve partire ogni buon governo che i valori costituzio­nali – oltre a teorizzarl­i – li voglia davvero proteggere dal loro peggior nemico: la mafia. Il che significa che non si possono lasciare soli i giudici di sorveglian­za. Cancellata l’ostatività dell’ergastolo, per la concession­e dei benefici la Consulta richiede l’acquisizio­ne di elementi che escludano l’attualità dei collegamen­ti con la mafia e il pericolo di un loro ripristino. Senonché le varie informativ­e che dovrebbero aiutare a scegliere per il meglio, quasi sempre, se non proprio inutili, sono burocratic­he o di facciata. Per cui, in assenza del pentimento, le decisioni dei giudici di sorveglian­za (oltre a comportare una forte sovraespos­izione personale) rischiano di essere un azzardo.

Concludo con il caso di Antonio Gallea, mandante dell’omicidio di Rosario Livatino, condannato all’ergastolo. Avendo fruito di vari permessi premio e della semilibert­à, ne ha approfitta­to per rientrare in posizioni di rilievo nell’orga nizz azio ne criminale, facendo valere proprio i suoi 25 anni di detenzione senza aver mai collaborat­o. Una sconfitta per lo Stato. Che deve attrezzars­i seriamente per evitarne altre.

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