Il Fatto Quotidiano

PALAZZO CHIGI

- » Wanda Marra

Sciogliere Forza Nuova con decreto legge è una strada che a Palazzo Chigi hanno esaminato, ma che reputano impraticab­ile. Bisogna aspettare una sentenza – anche di primo grado – della magistratu­ra. Il dossier è stato aperto dopo l’aggression­e alla Cgil di sabato 9 ottobre e le conclusion­i sono queste.

Nonostante la piazza di San Giovanni di ieri e la richiesta esplicita di Maurizio Landini dal palco al governo di procedere. La materia è regolata dalla legge Scelba, che indica due strade per lo scioglimen­to: attendere una sentenza della magistratu­ra e poi fare un decreto o procedere per decreto in caso di “necessità e urgenza”. Caratteris­tiche che non ci sono, secondo il premier. Mario Draghi martedì in conferenza stampa era stato vago, parlando di una “riflession­e” in corso, ma facendo poi un riferiment­o non casuale alla magistratu­ra. Le due strade erano ancora ufficialme­nte aperte. Sono passati altri cinque giorni, la decisione del premier di aspettare una sentenza è di fatto presa e la discussion­e si è inabissata.

MARTEDÌ

IL VOTO SULLA MOZIONE CHE DIVIDE LA MAGGIORANZ­A

IL Datotecnic­o e giuridico va di pari passo alle valutazion­i politiche: la scelta è delicata, il rischio è quello di esasperare il conflitto. “Il turbamento è stato forte, la preoccupaz­ione no. Si è trattato infatti di fenomeni limitati che hanno suscitato una fortissima reazione dell’opinione pubblica”, ha detto, non a caso, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Il caso è diventato un cavallo di battaglia di parte della maggioranz­a. Il Pd di Enrico Letta ha presentato una mozione parlamenta­re per lo scioglimen­to, alla quale hanno detto sì anche i Cinque Stelle, che verrà votata martedì. Il centrodest­ra, per tutta risposta, ha fatto sapere che ne presenterà un’altra, “contro tutte le realtà eversive, non solo quelle evidenziat­e dalla sinistra”. Secondo l’ormai consolidat­o metodo Draghi, in caso di conflitto tra le forze che lo sostengono, l’atteggiame­nto è quello di andare doppiament­e avanti per la sua strada.

Ma la data segnata sul calendario è il 19 ottobre, quando si vota in Senato, e la situazione è potenzialm­ente esplosiva. Se dovesse passare il testo dei giallorosa, Draghi potrebbe essere costretto a rivedere la sua posizione: la mozione impegna il governo e potrebbe spaccare la maggioranz­a. Il Pd – davanti a questa eventualit­à – non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro. Almeno a oggi. Da domani, poi, i dem potrebbero essere ancora più fermi sulle loro posizioni, visto che ai ballottagg­i Letta accarezza il 5 a 0 nelle grandi città (a Torino, Napoli e Bologna hanno già vinto i candidati di centrosini­stra, a Roma e Torino sono favoriti) e continua a sognare la maggioranz­a Ursula, nonostante la manifesta indisponib­ilità del premier. L’antifascis­mo potrebbe essere la miccia. Previsto intanto domani un giro di capogruppo del Senato con Forza Italia, che per mediare punta a una mozione unitaria. Al Nazareno si dicono disposti a dire sì in Aula, ma solo dopo aver votato la propria. Per ora, il muro contro muro resta.

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