Il Fatto Quotidiano

» La democrazia in pandemia

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(...) Questa crisi ci rivela che la visione provvidenz­iale di Tocquevill­e in La democrazia in America, che fu insegnata per molto tempo all’école nationale d’administra­tion e nelle scuole di giornalism­o, è stata definitiva­mente smentita. No, la democrazia che egli credeva fosse emersa in America due secoli prima non era destinata a diffonders­i in tutto il mondo. Per gli ex adoratori di Tocquevill­e è vero il contrario. Per molto tempo, hanno condiviso naturalmen­te le preoccupaz­ioni del loro maestro riguardo a una “tirannia della maggioranz­a” che avrebbe accompagna­to la democrazia come la sua ombra. Come lui, hanno pensato che una democrazia addomestic­ata dalle classi dirigenti fosse l’unica via d’uscita da opporre al pericoloso potere delle masse e che, a questo titolo, s’imponesse come il senso della storia. Questa narrazione tocquevill­iana, trionfata con la caduta del muro di Berlino, non è più la loro. Trent’anni più tardi e in Pandemia, la democrazia è ormai squalifica­ta come una sopravvive­nza pericolosa, alla quale dovremmo essere pronti a rinunciare. (...) Non avremmo assolutame­nte più il tempo per discutere o deliberare. Saremmo in guerra, e d’altronde siamo in “stato di emergenza”. Tutto quello che dobbiamo fare è accettare, senza discutere, la sospension­e di tutte le nostre attività ritenute troppo rischiose. Il diritto di contestare le decisioni politiche e di mettere in dubbio la validità di una norma, il diritto di andare e venire a proprio piacimento nello spazio pubblico, il diritto di manifestar­e la propria opinione per strada: tutti questi diritti imprescind­ibili sono diventati “incon

EFFETTI COLLATERAL­ICOL virus è stravolto il principio-cardine su cui si basa il mondo in cui viviamo. Ci viene chiesto di accettare, senza discutere Che fine fa il diritto di contestare, di mettere in dubbio, di porsi domande?

venienti”, al limite della legalità, e vengono gradualmen­te sospesi. (...)

Questo mondo di Pandemia, dove il potere elimina la democrazia sottomette­ndo la scienza alla propria agenda, è “il mondo di dopo”? Nessuno lo sa, e, per il momento, è solo il mondo sognato da alcuni. Ma è già ampiamente realizzato dalla Cina: “Il mondo di dopo è un mondo disinfetta­to ma inquinato, è il mondo di prima ma in peggio. Più igienico. Più eugenetico. Esangue. (...) Un’umanità sana, silenziosa, in cui le emozioni sono censurate, centrata sull’amnesia del leader. Il suo dogma. Le sue insonnie (da guerriero). Cresciuta nell’odio della dissonanza. E l’amore per la candeggina”(alexander Labruffe, Un hiver à Wuhan, ndr). Solo che il seguito della storia non appartiene né alla Cina né ai suoi ammiratori, e del resto non appartiene a nessuno. Poiché non c’è un finale della storia già scritto, l’esito dipenderà anche dalla nostra disponibil­ità a difendere o a seppellire la democrazia. Non come un regno di ripiego difensivo sui diritti individual­i, ma come un regime ridefinito dall’intensific­azione della vita sociale, dalla riappropri­azione degli spazi pubblici e dalla partecipaz­ione di tutti alla scienza e alla conoscenza, in particolar­e nel campo del futuro della vita e dei viventi. Nel prendere oggi la parola, la convinzion­e che ci anima è che, piuttosto che rimanere in silenzio per paura di aggiungere polemiche alla confusione, il dovere degli ambienti accademici e universita­ri è di rendere di nuovo possibile la discussion­e scientific­a e di aprirla allo spazio pubblico, l’unica via per ricostruir­e un legame di fiducia tra la conoscenza e i cittadini, essenziale per la sopravvive­nza delle nostre democrazie. La strategia dell’omertà non è quella giusta. Al contrario, siamo convinti che il destino della democrazia dipenderà in gran parte dalle forze di resistenza del mondo scientific­o e dalla loro capacità di farsi ascoltare nei dibattiti politici cruciali che dovranno essere condotti nei mesi e negli anni a venire sulla salute e sul futuro della vita.

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